Commento al Vangelo
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Il giorno del Signore

Domenica 19 luglio - 16ª domenica del Tempo Ordinario - Anno A

Dio non abbandona mai l’uomo a se stesso

Sap 12,13.16-19; Salmo 85; Rm 8,26-27; Mt 13,24-43

Il Signore in queste domeniche continua a parlarci del Regno di Dio con le parabole perché, mediante questi paragoni chiari e semplici, possiamo capire qual è il disegno di Dio su ogni uomo come sull’umanità nel suo insieme. Non siamo in questo mondo per caso e la nostra vita non è un cammino obbligato verso una meta oscura, la morte, che ci ghermisce e tutto finisce lì. Sarebbe ben triste una tale concezione della vita, quando dentro di noi sentiamo un bisogno insopprimibile di gioia stabile e totale. Gesù, con le tre parabole di oggi viene a darci una risposta concreta, piena di vita e di futuro.

La Parabola del buon grano e della zizzania: è Gesù stesso che ne dà ai suoi discepoli la spiegazione. Dio in principio creò tutto con amore. Ma l’avversario, Satana, colui che pretendeva di mettersi al posto di Dio, per invidia verso l’uomo lo ha trascinato nel male, guastando così il meraviglioso disegno di Dio. Il male esiste prima dell’uomo e al di fuori di lui. Ecco perché nel campo di grano (il mondo) cresce anche la zizzania (l’erbaccia del male). Da allora la storia dell’uomo è diventata una storia di dolore, di lotta e di morte.

Dio non ha abbandonato l’uomo a se stesso, ci ha soccorso donandoci il suo Figlio Gesù, che con la sua Parola di vita fa crescere forti i figli di Dio come il buon grano. Noi siamo impazienti, vorremmo togliere subito la zizzania di mezzo. Ma il Signore ci chiede di pazientare, per due motivi: 1) la presenza del male ci obbliga a restare svegli, 2) nella lotta contro il male noi diventiamo più forti e pronti per il Regno di Dio. Alla fine ci sarà la chiarezza totale: coloro che rimangono, coscientemente e cocciutamente, nel male saranno bruciati dal loro stesso peccato. Coloro che, con impegno e costanza, nonostante i limiti e le fragilità, si sono sforzati a seguire Cristo, saranno premiati in eterno “splendendo come il sole nel Regno del Padre”.

Le altre due parabole ci dicono la ricchezza e la fecondità del Regno di Dio. C’è un contrasto tra la piccolezza del seme di senape e dell’arbusto che si sviluppa; tra la piccola quantità di lievito e l’enorme massa di farina fermentata. Questo vuol dire che è il Signore che ci dà la fecondità e fa crescere il suo Regno nel mondo con la forza della sua Parola e con il suo dono di grazia, anche se questo Regno sembra non appariscente.

Oggi siamo quasi a un punto di non ritorno: la rovina totale dell’uomo e del Creato o la vittoria del bene sul male. La vittoria finale sarà certo di Cristo, ma Lui vuole che noi facciamo la nostra parte con l’impegno e la testimonianza per alleviare le terribili sofferenze odierne e per rischiarare questo mondo immerso nel buio più totale, senza ideali e prospettive valide. Noi cristiani, con la nostra fede vissuta, possiamo affrettare e intravedere il Regno di Dio pieno di vita, di amore e di pace presente e operante in questo mondo sconvolto.

La fecondità del Regno di Dio e della sua Parola sta nello Spirito Santo che abita, agisce e prega in noi e per noi (seconda Lettura): “Intercede con gemiti inesprimibili… intercede per i santi secondo i disegni di Dio”. Spesso ci rammarichiamo di non saper pregare. Certo la preghiera richiede impegno da parte nostra, ma essa è soprattutto un dono: saper riconoscere la presenza in noi di Qualcuno (lo Spirito) che prega e lasciarci guidare da Lui, senza moltiplicare inutilmente le parole per non cadere in un soliloquio che stanca e deprime. Si tratta di percepire il soffio vitale dello Spirito come, in certi momenti di silenzio o di stress, percepiamo e sentiamo il nostro respiro o il cuore che batte. È così che il Regno di Dio cresce in noi e germina in tante persone.

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