Commento al Vangelo
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Il giorno del Signore

Domenica 25 aprile - San Marco evangelista - 4ª domenica Tempo Pasqua - Anno B

Pastori gli uni degli altri. Impariamo da Cristo

At 4,8-12; Sal 117; 1Gv 3,1-2; Gv 10,11-18

Gesù si proclama buon pastore. A un ebreo non poteva sfuggire che solo a Dio spettava il titolo di Pastore del popolo d’Israele: l’Antico Testamento è ricco di esempi in cui Dio si presenta come il Pastore che ha cura del suo gregge. E per un popolo nomade dedito alla pastorizia, non c’era modo migliore di spiegare l’amore di Dio per il suo popolo.

Gesù rivela così la sua comunione con il Padre, e continua: “Il buon pastore offre la vita per le pecore”. Non solo le cura, le guida e le protegge; se è necessario è pronto a dare la vita per le sue pecore, perché conosce intimamente ciascuna di esse e dunque le ama di un amore che ha come misura il dono gratuito di sé, sempre.

Nella cultura ebraica conoscenza e amore sono due concetti strettamente collegati, tanto che per spiegare la comunione che lo lega alle pecore, Gesù fa riferimento al rapporto di conoscenza e quindi di amore esistente fra Lui e il Padre: “conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre”.

Una conoscenza così intima tra il pastore e le sue pecore nasce da una vita passata insieme alla ricerca dei pascoli migliori e delle acque più limpide, mentre il compito di custodia pian piano si trasforma in compiacimento, con il pastore che protegge e carezza con sguardo amorevole le sue pecore che ama sempre più.

In ebraico “pascere”, “compiacersi” e “servire il proprio coniuge” si esprimono con lo stesso verbo. Allora lo stesso amore e la stessa cura amorosa del pastore per le sue pecore devono diventare la linfa delle nostre famiglie: curiamo la conoscenza e l’accoglienza dei nostri cari, e impariamo a riconoscere le tante carezze di cui ci ricoprono e a ricambiarle.

Non occorrono gesti eclatanti per vivere il servizio ai propri familiari; sono i piccoli gesti quotidiani continuati nel tempo ad essere significativi per chi li riceve: piccoli aiuti negli impegni familiari, nelle difficoltà scolastiche dei nostri figli, nella cura agli anziani di casa.

E in più un sorriso, una carezza, una parola detta o ascoltata con attenzione e – perché no? – una bella risata fatta assieme, una sorpresa.

Tutto quello che può sollevare l’altro e farlo sentire carezzato dallo sguardo amorevole di chi si è fatto suo pastore.

Così, imitando il nostro buon Pastore, impareremo a farci pastori di tutti i nostri fratelli, ed a Caino che chiede: “Sono forse io il pastore di mio fratello?” risponderemo: “Sì”, perché non potremo vivere senza essere pastori gli uni degli altri.

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