Commento al Vangelo
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Il giorno del Signore

Domenica 28 marzo - Domenica delle Palme - Anno B

La speranza non è morta. Tutto sfocia nella Pasqua

Mc 11,1-10; Gv 1212-16; Is 50,4-7; Salmo 21; Fil 2,6-11; Passione: Mc 14,1-15,47-52

Il terzo cantico del “Servo del Signore” aggiunge nuovi tasselli a un mosaico che si va componendo. Anche noi immaginavamo che il Messia arrivasse trionfante su un cavallo bianco (Ap 19) e non in queste umili vesti.

Il servo, come un saggio, parla a chi è sfiduciato, ma prima di tutto è uno scolaro che ogni mattina sa ascoltare la Parola. Il suo compito non è per niente gratificante e nella sua missione incontrerà molte sofferenze e umiliazioni. Il “Servo” ci ricorda tanti profeti del passato.

“Il Figlio dell’uomo… è venuto… per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,34). Quel che ci dice Paolo ci sembra una biografia di Cristo: “Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò”.

Vediamo un rapporto di causalità tra debolezza e forza, tra abbassamento ed esaltazione. Dice Bonhöffer: “La Bibbia rinvia l’uomo all’impotenza e alla sofferenza di Dio; solo il Dio sofferente può aiutare”. Le sofferenze di Cristo sono per noi di esempio (1 Pt 2,21-25).

Tutto poi sfocia nella Pasqua. L’entrata solenne e trionfale di Gesù in Gerusalemme prefigura il suo trionfo. Nel racconto della passionemorte- resurrezione c’è tutto il Vangelo: lì scopri il volto di Gesù. Marco vi introduce un misterioso personaggio, un giovanetto: “Egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo” (14,51-52). Lo ritroveremo più avanti.
La tensione del racconto aumenta e tutti guardano a Gesù con ostilità: le autorità religiose, il sommo sacerdote, tutti i capi dei sacerdoti e gli anziani condannano Gesù senza prove; le autorità romane trattano Gesù come fosse un uomo qualunque; i discepoli rinnegano, tradiscono e fuggono.

Sulla croce, il Cristo abbraccia il cosmo intero e il tempo viene scandito fino al tragico epilogo: all’ora terza “lo crocifissero”; all’ora sesta “si fece buio su tutta la terra”; all’ora nona “gridò a gran voce”. Nella solitudine più totale, “dando un forte grido, spirò” (15,37).

Sono tre gli spirargli di speranza. Primo: la professione di fede del centurione: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio” (v. 39). Secondo: la testimonianza delle donne, vere discepole di Gesù. Terzo: “Giuseppe d’Arimatea, membro autorevole del Sinedrio, … [il quale] lo mise in un sepolcro scavato nella roccia” (15,43-46). Ora, la creazione intera attende il risveglio di questo corpo; la speranza non è morta.

Ascoltiamo una testimonianza. “Dopo un estenuante viaggio in treno mi trovai in un lager nazista con altre donne. Ci spogliarono e ci rasarono il cranio e io mi rispecchiai nell’altra. Ripetevo dentro di me: “Adesso mi sveglio”, ma mi accorsi che il sogno era realtà; ero precipitata in un mondo tutto grigio, un mondo di morte. Tutte scoppiammo in pianto e incominciammo a raccontare la nostra vita: i nostri amici, i nostri gatti, i nostri cani. Poi altre donne, arrivate prima, ci fecero notare i forni crematori in lontananza e un certo odore dolciastro nell’aria. Ci accorgemmo che i ricordi ci avrebbero ucciso e cambiammo tattica: cercammo di adattarci, ubbidire, imparare il tedesco; ci gettammo come pazze su quel pezzo di pane: tutte scegliemmo la vita”.

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