Artigiani di comunità
Il Covid ha messo la Chiesa di fronte a tutte le sue fragilità e soprattutto a una certa incomunicabilità con il mondo che papa Francesco denuncia da tempo. Da questi giorni crocifissi e dolorosi può nascere la Chiesa nuova

È come il “sussurro di una brezza leggera” che sente Isaia. Il Signore, racconta il primo Libro dei Re, non si manifesta al profeta nel vento gagliardo, nel terremoto o nel fuoco. Ma in quella “brezza leggera”. Per capire in quale direzione deve andare, la Chiesa deve esercitarsi nell’ascoltare quel soffio di vento. È la voce degli sfiduciati e degli oppressi. È la voce dei poveri, come ci ripete dall’inizio del suo pontificato papa Francesco. Non solo quelli che bussano ai centri d’ascolto della Caritas, ma anche i poveri di cura, di strumenti, relazioni, speranze.
In questo esercizio, la pandemia aiuta. Forse perché ci ha resi più fragili. Ci ha fatto abbassare lo sguardo all’altezza di chi sta a terra. Le chiese vuote del lockdown di primavera, le difficoltà dei gruppi a ritrovarsi, la sfiducia che respiriamo a tanti livelli possono essere un punto di partenza. L’ha scritto Paola Bignardi domenica scorsa su Avvenire, nell’editoriale “Giorni crocifissi eppure benedetti”.
Il Covid ha messo la Chiesa di fronte a tutte le sue fragilità e soprattutto a una certa incomunicabilità con il mondo che papa Francesco denuncia da tempo. “I giorni crocefissi della Chiesa cominciano ben prima della primavera del 2020 – scrive Bignardi – nella estraneità di molti giovani, nell’allontanamento delle donne adulte, nella fatica di trovare catechisti disponibili…”.
La pandemia ha dato a molti, anche nelle nostre parrocchie, l’occasione di chiudersi in se stessi e, purtroppo, anche di deprimersi. C’è chi dice che ha tirato fuori il peggio di noi o non ha cambiato nulla. Ma è solo una faccia della medaglia: sono cresciuti i legami, le relazioni in grado di superare le barriere delle mascherine e dei Dpcm. Chi ha provato le conseguenze del Covid sulla sua pelle (cfr. le lettere a pagina 23 edizione cartacea) ha riscoperto rapporti e fraternità.
È una dinamica pasquale, spiega la Bignardi. E, a pensarci bene, anche quella di una nascita: le doglie, il dolore, la sensazione di non farcela più. E poi una nuova vita.
Da questi giorni crocifissi e dolorosi può nascere la Chiesa nuova. “Avevamo pensato che i giorni benedetti fossero quelli delle chiese piene, degli oratori affollati di bambini e di giovani, della considerazione sociale – scrive ancora –. Giorni benedetti sono quelli in cui si comincia a credere che nella croce c’è un mistero fecondo, una benedizione invisibile che è una promessa che si annuncia con segni discreti, percepiti solo da uno sguardo penetrante e da un cuore in attesa”.
Il Papa ci esorta a essere “artigiani di comunità aperte”. Mettiamoci al lavoro, con uno sguardo ai germogli che nascono in questa Chiesa che anche dopo duemila anni sempre si rinnova.
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