Editoriale
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Dobbiamo dirlo

Il problema c’è. Esiste ed è reale. Inutile nasconderselo. Saremmo solo degli ipocriti. Il razzismo, della peggiore specie, si annida tra noi. Poi sfocia negli stadi, nei cori contro i calciatori di colore, come è accaduto domenica scorsa alla stadio di Verona quando il bersaglio preso di mira è uno sportivo del calibro di Mario Balotelli.

Dobbiamo dirlo

Il problema c’è. Esiste ed è reale. Inutile nasconderselo. Saremmo solo degli ipocriti. Il razzismo, della peggiore specie, si annida tra noi. Poi sfocia negli stadi, nei cori contro i calciatori di colore, come è accaduto domenica scorsa alla stadio di Verona quando il bersaglio preso di mira è uno sportivo del calibro di Mario Balotelli.

Intendiamoci: non ho mai avuto una predilezione particolare per il calciatore, dotatissimo sul piano dell’estro e dell’inventiva, fortissimo dal punta di vista fisico. Un genio del gol cui ha sempre fatto difetto la capacità di mettersi a servizio dei compagni di squadra. Ciò nulla toglie al rispetto che merita la persona.

In maglia azzurra Balotelli ha siglato gol bellissimi e tutti noi abbiamo esultato per le sue prodezze, i suoi gesti atletici, la sua forza, le sue maestrie con la palla tra i piedi. Mario Balotelli è un ragazzone cui bisogna voler bene per quello che è. Cui occorre anche dire che ci si può sacrificare per gli altri, i compagni di squadra appunto.

Balotelli è uno fuori dalle righe. Lo ha dimostrato ancora una volta domenica scorsa gettando il pallone in curva. Un gesto clamoroso che solo uno oltre gli schemi come lui poteva realizzare sul campo. Quando è giusto e ci vuole, occorre dirlo senza mezze misure, così come va fatto notare quando uno sbaglia.

In questo caso, però, a essere ostinati sono quelli delle curve e i loro sodali. Quelli che in questi giorni in tv e sui social dicono che Balotelli non potrà mai essere del tutto italiano. Ma che significa? Stiamo scherzando, vero? Forse non ho letto bene. Forse mi sbaglio. Anzi, di certo ho preso un abbaglio. Leader politici e commentatori di gran fama fanno dei distinguo. Mettono dei ma. Arzigogolano. Giustificano: non è tutto così, in realtà sono pochi, la nostra città è un’altra cosa…

“L’indifferenza è pari alla violenza verbale”, ha scritto su Avvenire di martedì scorso Igor Trocchia, ct della Nazionale dei sordomuti, che si è proposto ad Albertini e a Tommasi per corsi di formazione di educazione civica legata al calcio. Nel suo commento ha ricordato un episodio simile a quello di domenica scorsa (fece uscire dal campo la sua squadra dopo un coro di buu) per il quale il presidente Mattarella gli conferì l’onorificenza di cavaliere della Repubblica. “Ma di contro – annota con non poca amarezza lo stesso Trocchia – il mondo del calcio, specie quello locale della Bergamasca, mi ha chiuso tutte le porte in faccia”.

In questi casi indignarsi è doveroso. È il minimo che possiamo fare, sperando che chi ha maggiori responsabilità comprenda la lezione e agisca di conseguenza. Ma dipende anche da noi. Dobbiamo dirlo.

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