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In Venezuela, sulle frontiere dell’umano

Bastano pochi giorni in Venezuela, con i nostri sacerdoti fidei donum impegnati nella diocesi di Carupano, nella parte est del Paese, per capire con immediatezza da dove viene il sentire di Bergoglio. Per comprendere in fretta dove è nato e si è sviluppata quella “teologia del popolo” che fa di papa Francesco un successore di Pietro anomalo, nuovo, innovativo, quasi rivoluzionario per noi abituati a un cristianesimo da salotto.

In Venezuela, sulle frontiere dell’umano

Una Chiesa in uscita. Questo il pressante invito di papa Francesco fin dai primi giorni del suo pontificato. Il Pontefice che viene dal Sudamerica sa benissimo cosa significa stare in strada, in mezzo alla gente, condividerne le vicende quotidiane costellate di continue fatiche. Difficoltà che non mancano neppure da noi, in Italia e in Occidente, dove la secolarizzazione, come ha ricordato il vescovo Douglas all’assemblea degli operatori pastorali del 16 settembre, sta rendendo l’esistenza un fatto solo materiale.

Bastano pochi giorni in Venezuela, con i nostri sacerdoti fidei donum impegnati nella diocesi di Carupano, nella parte est del Paese, per capire con immediatezza da dove viene il sentire di Bergoglio. Per comprendere in fretta dove è nato e si è sviluppata quella “teologia del popolo” che fa di papa Francesco un successore di Pietro anomalo, nuovo, innovativo, quasi rivoluzionario per noi abituati a un cristianesimo da salotto.

Qui la Chiesa, sia con la maiuscola che con la minuscola, intesa come istituzione e come comunità di fedeli, è in primissima linea. Don Giorgio Bissoni e don Derno Giorgetti vivono con la gente e tra la gente. Condividono le fatiche di una nazione messa alle strette da una crisi che non è solo economica. Sono preti attesi e accolti da tutti che si fanno prossimi con chi non ha nulla, proprio come ricorda Bergoglio e come si legge nel Vangelo.

Torneremo in argomento la prossima settimana (cfr pag. 7 edizione cartacea) con ampi servizi sul viaggio in queste terre bellissime e abbandonate. Intanto e comunque, da questi luoghi che si affacciano sul meraviglioso mar dei Caraibi, non posso non annotare subito come sia importante per la nostra comunità diocesana avere questo slancio missionario, questa apertura ad gentes, come in tanti anni ho ascoltato da don Crescenzio Moretti, il decano dei nostri missionari fidei donum.

Se una comunità non si apre rischia l’asfissia. Rimane senza aria. Lo ha ribadito monsignor Regattieri a più riprese e lo ha dimostrato con la recente visita qui a Playa Grande, nel gennaio di quest’anno. C’è bisogno di un respiro più ampio. C’è la necessità di intuire le necessità dei fratelli che sono nell’emergenza più totale. Ne abbiamo bisogno come il pane. Per relativizzare il nostro cantilenante piagnisteo, per prendere coscienza che non siamo il centro del mondo e che il nostro lamentarci risulta quasi un insulto se rapportato con quel accade qua, dove l’urgenza consiste nel mettere insieme qualcosa per il pasto e, forse, per la cena.

Una Chiesa che si fa compagna di viaggio. Che condivide il pane, come si impara in fretta qui. E si fa essenziale, in primissima linea. Se non sulle barricate, di certo sulle frontiere. Quelle dell’umano di sicuro.

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