Editoriale
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Quando i conti non tornano

I proclami hanno lasciato il posto a dichiarazioni più distensive. Gli slogan sguaiati sembrano svaniti. Si tenta di recuperare il recuperabile. Non si vuole rompere con l’Ue. Lo strappo prospettato, ora pare non interessare quasi a nessuno.

Quando i conti non tornano

Ormai sembra una favola. La legge di bilancio è ancora in discussione in Parlamento, eppure sembra già essere stata riscritta non si sa quante volte. Prima il 2,4 per cento di deficit era intoccabile. Le letterine da Bruxelles sarebbero state rispedite al mittente. Così tuonava uno dei ministri più in vista del governo giallo-verde.

I toni dell’esecutivo guidato da Conte con i suoi fidi vice sempre in agguato non sono mai stati teneri verso quell’Europa che l’Italia ha contribuito non poco a fondare. È verissimo, i tempi sono del tutto mutati da allora e guidare un vapore a 28 o a 27 non è per nulla semplice. Mettere d’accordo tutti è altrettanto difficile, in specie quando spirano i venti del populismo e del sovranismo, Italia in primis.

Ora i toni sembrano cambiare. Sarà che la procedura di infrazione non piace a nessuno. Sarà che forse conviene di più a tutti tentare di non scontentare i partner continentali, fatto sta che ora si cerca di assecondare le richieste che arrivano dall’Eurogruppo. Sarà il 2 per cento di deficit? Saranno altri interventi per tenere calmi gli altri Paesi e i commissari troppo di frequente dipinti come gendarmi al soldo di non si sa bene quale potere occulto? Fatto sta che ora il vento sembra cambiare direzione.

I proclami hanno lasciato il posto a dichiarazioni più distensive. Gli slogan sguaiati sembrano svaniti. Si tenta di recuperare il recuperabile. Non si vuole rompere con l’Ue. Lo strappo prospettato, ora pare non interessare quasi a nessuno. Non sono più i nemici dichiarati di alcuni giorni fa.

Forse qualche ragione la dovevano avere, lor signori nella capitale belga, quando ci dicevano che i conti potevano non tornare, prima di tutto per noi. Il Patto di stabilità non è un accordo da bar. Non è che ci si può alzare una mattina e fare finta che non esista più. L’Italia l’ha sottoscritto e deve rispettare la parola data, messa nero su bianco. Sono cambiati i ministri? Sono cambiati i governi? Su Facebook si erano fatte altre promesse? Tutto vero, ma i numeri ci inchiodano a una responsabilità alla quale non si può sfuggire.

Ora tornano in discussione il reddito di cittadinanza e la quota 100 per andare in pensione. Più d’uno lo aveva detto al vicepremier Di Maio, ma lui non voleva sentire ragioni. Ora le ragioni sono quelle di molti. Di settimane ne sono trascorse poche, eppure paiono già mesi. Leggere “l’Italia tra i rischi” non piace a nessuno, tanto meno agli italiani. La credibilità si guadagna in fretta nell’era dell’online, ma si perde in un soffio. Una lezione da cui imparare da subito, per i nuovi governanti e non solo.

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