Editoriale
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Un uomo normale, dal cavalcavia

Perché un uomo all’apparenza del tutto normale e sano di mente in pochi attimi riesce a travolgere se stesso e quelli che ha vicino in un delirio di onnipotenza (Sono io il padrone della mia vita è il pensiero inconfessato) più forte del desiderio struggente di rimanere attaccato a questo mondo?

Un uomo normale, dal cavalcavia

Un uomo normale. Una famiglia come tante altre. Mai un litigio. Sempre d’accordo. Una tragedia assurda, per i più. Sembra un ritornello, quasi una cantilena, anzi, una giaculatoria, un’invocazione, come a voler scacciare lo spettro di qualcosa che si insidia in tutti, lì dietro l’angolo di ciascuno di noi. Impensabile. Inconfessabile. Eppure possibile, visto che accadono e si susseguono fatti come quello verificatosi domenica scorsa a Francavilla al Mare, in provincia di Chieti, lungo la A14, in Abruzzo.

Un uomo di 49 anni, manager di una nota firma della moda italiana, Fausto Filippone, in preda alla follia. Prima uccide la figlia di dieci anni. Non si sa, e forse non si saprà mai, se c’entri con la morte della moglie avvenuta qualche ora prima per una caduta dal quarto piano di casa. Si avvicina a un viadotto dell’autostrada. Getta la bambina. La vede morire. Magari pensava di farla finita anche lui, subito. Poi un sussulto. Un ripensamento. Un sospiro che però dura sette ore, prima di lanciarsi nel vuoto senza che la vita, disperata ormai, abbia il sopravvento.

“Nel suo cuore è già morto - ha commentato Marina Corradi su Avvenire di martedì scorso -. Il pensiero di ciò che ha fatto è insopportabile. Eppure qualcosa all’ultimo istante lo trattiene, e le mani sudate si riavvinghiano all’ultimo sostegno. Cosa lo ferma?”. Già, cosa lo fa ancora tentennare? Come mai non si butta? Quale istinto lo tiene ancora legato a una vita che è già distrutta in maniera inesorabile? Forse è la fiammella di una remota speranza? O è l’attaccamento a questa esistenza che fa vacillare anche i più tenaci? Quali ragioni scatenanti devono accadere perché capitino eventi così sconvolgenti?

Perché un uomo all’apparenza del tutto normale e sano di mente in pochi attimi riesce a travolgere se stesso e quelli che ha vicino in un delirio di onnipotenza (Sono io il padrone della mia vita è il pensiero inconfessato) più forte del desiderio struggente di rimanere attaccato a questo mondo? Sono tutte domande che rimangono senza una risposta accettabile.

Sono i pensieri dei più, di quanti si sono avvicendati davanti ai notiziari televisivi e di quanti sono transitati vicini al luogo della tragedia. Sono le nostre domande di padri e madri e figli e nipoti e nonni e zii. Di quella trama di relazioni umane di cui sono fatte le nostre case, il nostro vivere di ogni giorno, le nostre abitudini, anche le nostre certezze. Il dubbio ci assale, in questi frangenti. Incrina le nostre convinzioni, ma non può e non deve sopraffarci.

Non vogliamo farci travolgere. Restiamo attaccati alla vita e a Chi ce l’ha donata. Solo lì ci può essere salvezza, più forte di ogni disperazione.

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