Editoriale
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Una china inquietante

Dopo l’ennesimo braccio di ferro, quando tutto crolla, si grida allo scandalo e al tradimento del voto emerso dalle urne del 4 marzo scorso. È l’ennesima mistificazione della realtà. Ma di quale maggioranza stiamo parlando?

Una china inquietante

Se il buongiorno si vede… dal curriculum. È fin troppo facile fare la battuta, visto come è andato a finire il tentativo del professor Giuseppe Conte. Certo è che le mezze verità sulla formazione del presidente del Consiglio incaricato hanno fatto venire più di un mal di pancia a qualcuno, forse a cominciare dallo stesso presidente della Repubblica che potrebbe aver mal digerito l’imposizione di un nome subito chiacchierato.

Ma tant’è, si è pensato sul Colle più alto di Roma, se questo è il prezzo da pagare per dare un governo, quello del cambiamento così tanto strombazzato, a questo Paese che davvero ne ha bisogno. Deve aver fatto buon viso a cattivo gioco, il buon Sergio Mattarella, saggio notaio (e anche di più) di una fase delicatissima della storia repubblicana. Passi il neo presidente che non ha un master negli Usa (forse dal Quirinale si poteva chiedere di più in quel frangente, mercoledì scorso) come mostrato dal cv non del tutto veritiero (quel detto e non detto, il male del momento), ma no a un ministro tecnico per un esecutivo politico che avrebbe potuto mettere in discussione l’appartenenza all’Unione europea e l’adesione alla moneta unica. Si può chiedere tanto, ma non si può chiedere tutto, deve aver pensato il presidente della Repubblica che pure aveva indicato un nome, il numero due della Lega Giancarlo Giorgetti, che poteva stare bene a entrambe le formazioni che si apprestavano a varare un esecutivo del tutto inedito.

Ma poi, dopo l’ennesimo braccio di ferro, quando tutto crolla si grida allo scandalo e al tradimento del voto emerso dalle urne del 4 marzo scorso. È l’ennesima mistificazione della realtà. Ma di quale maggioranza stiamo parlando? La Lega era in coalizione con Forza Italia, Fratelli d’Italia e il resto dei cattolici del centro destra (Udc di un tempo). Di questi ultimi si è smarrita subito traccia. Degli altri il buon Matteo se ne è fatto beffe stipulando un contratto di governo con un nemico acerrimo, quello col quale mai si sarebbe potuto governare.

Ma si sa, la memoria del momento è prossima allo zero. “Tutte piene, come quelle dei telefonini. Non ci entra più nulla se non lo squillo dell’istante”, ha scritto Mattia Feltri sulla Stampa di martedì scorso. Allora, forse, come ha annotato il direttore di Avvenire Marco Tarquinio, nel suo fondo di martedì 29 maggio, il piano B di Savona “per l’uscita da Europa ed euro”, viste le vicende di queste ultime ore, dimostra di essere “un poco dissimulato piano A”. Forse era già tutto scritto, con Salvini che ha inteso tirare la corda al massimo, per ottenere vantaggi elettorali alla prossima tornata, subito dopo l’estate. La chiamata dei 5stelle alla marcia su Roma per il 2 giugno e le invettive contro il Capo dello Stato dicono di un delirio molto preoccupante.

Invece di una maggiore responsabilità, richiesta nei momenti di grave difficoltà come è quello attuale, ora si assiste a “una crisi drammatica e grottesca”, come ha titolato l’agenzia Sir lunedì scorso. Rimane, residua, la speranza del ritorno alla ragionevolezza. Prima che sia troppo tardi, perché la china intrapresa è inquietante.

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