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Educazione e Covid 19

Il piano inclinato della regressione

Il Covid ha costretto i ragazzi a ridurre i contatti. La rete ha creato forme pericolose di dipendenza

Già da diversi mesi i pediatri italiani hanno rilevato nei bambini più piccoli evidenze di regressione di competenze con la perdita di alcune capacità di base e di apprendimento. Negli adolescenti hanno messo in evidenza la perdita di forma fisica, segni di disagio mentale, disturbi del comportamento alimentare e di autolesionismo. Se le persone anziane e malate rappresentano la fragilità sanitaria della popolazione nella pandemia, bambini e ragazzi stanno certamente pagando in modo pesantissimo le conseguenze delle limitazioni imposte, prima fra tutte lo stop della scuola.

Ora gli stessi risultati emergono da un’ampia ricerca inglese dell’Office for standard in education, condotta lo scorso ottobre su 900 centri educativi. I figli di genitori che per lavoro non potevano essere seguiti da vicino, non ricordano il significato di parole o come contare. Altri hanno dimenticato come si usano coltello e forchetta a tavola e altri ancora sono tornati al pannolino oramai da tempo abbandonato. I più grandi hanno difficoltà nella lettura e nella scrittura.

L’epidemia e le restrizioni hanno peggiorato la salute mentale dei genitori (i traumi cranici da abuso sono aumentati di dieci volte) e comportamentale nei bambini. Le fasce socialmente più deboli pagano il prezzo più alto.

Gran parte degli adolescenti dopo le nuove chiusure delle scuole, sta ritirandosi in casa. Da qui l’espressione degli psicologi sindrome della capanna, utilizzando lo smartphone come unico strumento di relazione. Il passo da questo stato al problema degli hikikomori (cioè ragazzi chiusi in casa per almeno sei mesi che vivono solo col loro computer) è molto breve.

Durante il lockdown sono aumentati gli accessi in pronto soccorso di bambini e ragazzi con crisi convulsive ed è plausibile che ad agire come innesco siano stati i cambiamenti nel ritmo del sonno e un maggior utilizzo degli schermi (computer, tablet, cellulari) più che triplicato in questi periodi. L’aspetto più grave di tutto ciò è quanto, di tutte queste varie forme di depressione, persisterà negli anni, determinando una condizione pericolosa per la salute mentale futura.

Il Covid ha costretto gli adolescenti a ridurre di tanto i contatti umani e l’esagerato utilizzo della rete per cercarsi surrogati ha creato trappole subdole e forme pericolose di dipendenza, soprattutto nei soggetti fragili. In tutto ciò, mentre psicologi e insegnanti sono impegnati in un’educazione digitale per correggere comportamenti sbagliati e i genitori sono alla ricerca di nuovi equilibri per far fronte alle necessità imposte dall’emergenza, nei sondaggi i ragazzi mostrano un’inaspettata spinta creativa e una capacità di allargare lo sguardo alla comunità e al bene di tutti.

Se sta diventando senza confini l’uso sociale delle tecnologie digitali e la dematerializzazione delle relazioni umane al punto che il governatore di New York Cuomo, col contributo di Bill Gates, giunge a dire che “la pandemia era l’occasione di re-immaginare l’educazione liquidando il vecchio modello del professore in classe con gli allievi”, molti giovani, per fortuna, non vi si riconoscono. E così protesta Anita, la ragazza di Torino che si reca fino ai cancelli della scuola e da lì si collega per la Dad (Didattica a distanza), dicendo che le mancano le lezioni vere. E classi intere col loro prof che si ritrovano nei parchi ad ascoltare la lezione. E la grande adesione dei ragazzi alle forme di solidarietà come il Banco alimentare.

Anche la ministra Azzolina si è oramai convinta del danno che la Dad, riassegnata oggi a più di quattro milioni di studenti, possa provocare e auspica che venga presto cessata a vantaggio di tutti: “Bambini e adolescenti han diritto a vivere, scoprire e crescere insieme e devono continuare a farlo presto”.

Auguriamoci che sia ascoltata.

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