Come si parla di guerra ai bambini?
Rimane importante rispettare i tempi del bambino, attendere che sia lui a porci delle domande; sintonizzarci, porci in ascolto
In questo periodo in cui la guerra in Ucraina continua a destare preoccupazione, non possiamo non interrogarci su come parlarne ai nostri bambini. Il bambino, come ognuno di noi, ha diritto alla verità, ma non è strutturalmente equipaggiato a contenere emozioni forti come quelle suscitate dalla guerra e dalle fantasie a essa associate.
È importante accompagnarlo per non lasciarlo solo nella gestione di emozioni angoscianti. A volte l’adulto immagina di dover proteggere il bambino attraverso il silenzio. Tuttavia, questo non è di aiuto al bambino che si ritroverà da solo in balìa di ciò che prova.
Il bisogno del bambino è quello di riconoscere nell’adulto una persona alla quale poter chiedere aiuto, con il quale poter condividere i propri vissuti, sentendosi riconosciuto. L’adulto non può proteggere il bambino dagli eventi dolorosi del mondo. Tuttavia può aiutarlo a dare un significato a ciò che prova in relazione a questi eventi.
Rimane importante rispettare i tempi del bambino, attendere che sia lui a porci delle domande; sintonizzarci, porci in ascolto.
Tra i diversi modi del bambino per entrare in contatto con i propri vissuti, il gioco è lo strumento naturale per elaborare l’esperienza. Come nelle fiabe, può mettere in scena drammi e crudeltà, ma prospettare anche soluzioni.
Una madre racconta che sua figlia e la sua amica hanno giocato tutto il pomeriggio a “fare le profughe ucraine”: nei passeggini portavano i piccoli in fuga verso i rifugi. Lì c’erano i soccorsi, il latte e le coperte per proteggersi dal freddo. Come diceva Anna Freud: «Lasciamoli giocare: il gioco è la tecnica migliore per entrare in contatto con loro». Il gioco come strumento per comprenderli, primo passo per poterli aiutare.
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