Psicologia quotidiana
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I traguardi

Sui traguardi che ognuno di noi si prefigge di raggiungere nel corso della vita.

Prendendo spunto dagli esami di maturità in corso e dal recente fatto di cronaca di due teneri nonni che hanno conseguito la licenza media rispettivamente all’età di 83 e di 98 anni, vorrei parlarvi dei traguardi che ognuno di noi si prefigge di raggiungere nel corso della vita.

Per farlo attingerò dall’illuminante libro "Lo zen e il tiro con l’arco" di Herrigel del 1975. Herrigel, un professore universitario tedesco decide di imparare una delle arti orientali più antiche: il tiro con l’arco. Inizia così un difficile ed emozionante tirocinio nel corso del quale si ritrova a capovolgere le sue idee e il suo modo di vivere.

Attraverso la “Grande Dottrina” comprende che gli ostacoli al raggiungimento dell’obiettivo sono: il desiderio spasmodico di riuscire, la netta distinzione tra mezzo e fine. «La vera arte» sostiene il suo Maestro «è senza scopo, senza intenzione! Quanto più lei si ostinerà a voler imparare a far partire la freccia per colpire sicuramente il bersaglio, tanto meno le riuscirà l’una cosa, tanto più si allontanerà l’altra. Le è d’ostacolo una volontà troppo volitiva (…) Smetta di pensare al momento del tiro, non potrà che fallire!».

Herrigel: «non posso fare altrimenti, la tensione diventa troppo dolorosa». Il Maestro: «lo è perché lei non si è ancora distaccato da sé. Lasci che la tensione raggiunga il suo limite, così il colpo si staccherà dall’arciere come la neve dalla foglia di bambù, senza che ci pensi».

Ma ancora Herrigel non riusciva ad attendere, senza intenzione, che il colpo partisse. Troppo legato al ragionamento, troppo legato all’idea di essere lui l’artefice del colpo. Herrigel domanda al Maestro: «come può partire il colpo se non lo tiro io?». La risposta del Maestro è che: «la freccia si tira (…) aspetti pazientemente quel che viene e come viene». 

E proprio allora avvenne il cambiamento: «rinunciai a chiedere (…) vivevo alla giornata (…) non mi preoccupai neppure più del fatto che mi fosse diventato indifferente tutto ciò a cui mi ero applicato con tanta costanza». Ecco che un giorno, dopo un tiro, il Maestro si inchinò e disse: «proprio ora si è tirato». Era finalmente successo: la freccia era partita senza che Herrigel avesse intenzione di scagliarla. Il Maestro: «questa volta lei si è tenuto nella massima tensione, nel completo oblio di sé e delle sue intenzioni, ed ecco che il colpo si è staccato da lei come un frutto maturo. Adesso continui ad esercitarsi come se non fosse accaduto nulla».

Arco, freccia, bersaglio e Io si intrecciano tra loro, diventano un tutt’uno. La tecnica viene superata. L’arte appresa diventa parte di sé. Quando si raggiunge ciò, l'arciere non ha più bisogno di arco e freccia, come il pittore non ha bisogno di tela, pennello e colori per sentirsi tale. Questo è il vero traguardo.

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