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Chi ha tradito i giovani? La risposta non è Internet

Sono numerosi, purtroppo, i casi che spingono a riflettere e nei quali l’ambiente digitale costituisce ben più dello scenario in cui i comportamenti maturano, si alimentano ed esplodono. Ciononostante puntare il dito sulla Rete come fosse l’origine di tutti i mali è una semplificazione dannosa e fin troppo autoassolutoria

«È tutta colpa di Internet!». Quante volte abbiamo sentito, o anche solo pensato, queste decise parole di condanna dopo l’ennesimo fatto di cronaca riguardante i più giovani: dalle risse organizzate su Whatsapp al “ritiro sociale” di chi si chiude in camera a (video) giocare notte e giorno, dalle sfide estreme ispirate alle serie online fino al cyberbullismo e ai drammatici tentativi di suicidio messi in atto da non pochi giovanissimi.

Sono numerosi, purtroppo, i casi che spingono a riflettere e nei quali l’ambiente digitale costituisce ben più dello scenario in cui i comportamenti maturano, si alimentano ed esplodono.

Ciononostante puntare il dito sulla Rete come fosse l’origine di tutti i mali è una semplificazione dannosa e fin troppo autoassolutoria. Come se bastasse – e fosse possibile – staccare la connessione per risolvere tutti i problemi dei giovani.

Internet e i social sono un teatro densamente popolato, il palcoscenico ideale su cui esibire sé stessi in tutte le forme e le manifestazioni. Perché si è giunti a questo? È colpa solo della tecnologia? Una riposta provocatoria la dà lo psicologo Matteo Lancini nel suo recente libro su “L’età tradita” (Raffaello Cortina editore) in cui parte dagli effetti della pandemia per andare “oltre i luoghi comuni sugli adolescenti”, come recita il sottotitolo.

Il fatto che le esperienze di vita si siano trasferite in rete è solo un elemento. Occorre considerare il messaggio che i giovanissimi ricevono dal mondo adulto: una comunicazione in cui sono centrali i concetti di visibilità, notorietà, competizione, successo, rimozione della debolezza e del sacrificio. Idee spesso martellanti che non hanno certo inventato i bambini e i ragazzi.

«La rivoluzione digitale non nasce dai piccoli ma dai grandi», scrive Lancini. «Si trascorre la prima e la seconda infanzia mai da soli e sempre inquadrati, poi con l’adolescenza li si vorrebbe chiusi in casa a studiare in solitudine senza fotocamere e collegamenti in mano. Ma davvero?».

Lo psicologo indica anche la sfida. La famiglia, la scuola, le istituzioni politiche sono chiamate a riflettere sulle conseguenze di una spettacolarizzazione delle esperienze ormai dominante nel contesto sociale e culturale: «Serve una nuova agenda educativa dedicata all’ascolto dei conflitti evolutivi che abitano la mente di coloro che sono nati nel nuovo millennio ». Le cause di certi fenomeni risiedono soprattutto nei sentimenti di vergogna di sé e di inadeguatezza che i ragazzi provano – avverte l’esperto. Serve a poco spegnere il wifi se non si parla con loro, dando ascolto, fiducia e ragioni di vita.

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