Lazzaro felice

Autore Filippo Cappelli
Introduzione

Il Lazzaro dei Vangeli non è solo un uomo che risorge dalla morte. Prima di tutto è colui che Dio piange morto e che per questo risorge. Come se sia lo stesso pianto di Dio a renderlo santo, uomo nuovo, risorto. Ma Lazzaro, nel Vangelo di Luca, è anche il povero in terra contrapposto al ricco epulone. Se uniamo le due definizioni abbiamo sia il Lazzaro pianto da Dio e prova della sua compassione per l’uomo, sia il povero che appartiene alla terra e quindi risorto.

Recensione

Il Lazzaro dei Vangeli non è solo un uomo che risorge dalla morte. Prima di tutto è colui che Dio piange morto e che per questo risorge. Come se sia lo stesso pianto di Dio a renderlo santo, uomo nuovo, risorto. Ma Lazzaro, nel Vangelo di Luca, è anche il povero in terra contrapposto al ricco epulone. Se uniamo le due definizioni abbiamo sia il Lazzaro pianto da Dio e prova della sua compassione per l’uomo, sia il povero che appartiene alla terra e quindi risorto.

Alice Rohrwacher trae spunto dalla ‘vulgata’ di Lazzaro per riportarci in un universo neanche troppo lontano, ma che a conti fatti appare distante anni-luce da noi, se mai è esistito. Mostra sullo schermo una numerosissima famiglia di contadini (tutti, o quasi, attori non professionisti) alle prese con la fatica quotidiana del lavoro sotto una nobile e ricca padrona, la marchesa Alfonsina De Luna (Nicoletta Braschi). La fatica di questi mezzadri è ripagata con nulla (la mezzadria era già bandita per legge, ma ancora in vigore), eppure la gioia di vivere non manca. Tra di loro c’è Lazzaro (Adriano Tardiolo), ragazzino nemmeno ventenne, il classico ultimo della fila, mai una parola fuori posto.

Il figlio della contessa (Luca Chikovani), coetaneo annoiato e viziato di Lazzaro, sfrutterà l’ingenua bontà di quest’ultimo per fingere di essere stato rapito. È qui che il salto nel vuoto della Rohrwacher (premiata a Cannes per la sceneggiatura in exaequo con “Three Faces” di Panahi), rischioso e incantato, si compie pienamente: un balzo in cui il tempo segnerà il passaggio che lei stessa, parafrasando Elsa Morante, definisce quello tra il primo e il secondo medioevo, tra un medioevo storico e un medioevo umano. Quello in cui la democrazia pare abolire lo schiavismo per farlo rientrare poi dalla finestra in un modo forse peggiore e comunque classista.

Lo scenario cambia, il “caldo” della natura ha lasciato il posto al freddo incolore della metropoli: due poveracci (uno è Sergio Lopez) fungono da traghettatori inconsapevoli dell’unica cosa, entità, a non essere mutata. Lazzaro, metaforicamente risorto, attraversa tempi e spazi, irreale fra una realtà eterea si fa portatore di quella assurda “santità dello stare al mondo e di non pensare male di nessuno, ma semplicemente credere negli altri esseri umani”. Ed è a questo punto che il Lazzaro della tradizione cattolica si fa l’“Uno, nessuno, centomila” di pirandelliana memoria, e cioè tutti i lazzari che hanno percorso il cinema italiano: quelli di Olmi e dei fratelli Taviani ad esempio, fino ad arrivare a Rossellini e al Neorealismo.

Tutto risorge, di fronte a quella capacità ludica e ingenua di attraversare le vessazioni e non esserne scalfito nel Bene. Risorge la Rohrwacher, già autrice dei meritori “Corpo Celeste” e “Le meraviglie”, qui con un deciso balzo in avanti. Risorge il cinema fiabesco della ricca tradizione italiana, il cinema di Scola, di Comencini, di Pasolini, di Citti. E risorge, non per ultimo Lazzaro. Ancora una volta. Chissà quante altre.

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Data di pubblicazione 12/06/2018 18:30
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Lazzaro felice
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Note
Categoria Cinema
Il Film

Diretto da: Alice Rohrwacher
In programmazione: Multisala Eliseo (Cesena)