Colazione tra le righe

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Le nostre inviate tra i fornelli, con le proposte di Marika Lombardi, scaturite da un misto tra memoria e innovazione.

Le proposte sono accompagnate dal racconto di Serena Menghi e dallo scatto di Denise Biondi.

“Indovina, indovinello…”, disse il Nonno, di ritorno dal mercato.

“La sua corazza è forte e rugosa, un po’ bruttina oserei dire, eppure all’interno nasconde un cuore d’oro”.

“È molto dolce?”, gli domandai.

“Moltissimo”, fece lui.

Mi trovai molto indecisa sulla risposta: “Forse è un melone? O forse sei tu”.

(parte 2ª) “L’hai visto anche tu? Mi ha fatto la lingua”.

“Un gatto che mi fa la lingua tra le nuvole! Mi prenderebbero per pazzo se lo raccontassi a qualcuno”. “Sarà un segreto, promesso”.

“Tuo e mio soltanto?”. “Nostro e di chi ha ancora negli occhi la voglia di visitare il lato bello del mondo”.

“Fantasia…”. “Sì?”.

“Non te ne andare mai”.

“L’hai visto anche tu? Mi ha fatto la lingua”.

Durante la pausa caffè, in ufficio, appiccicare il naso alla finestra vicino alla scrivania. Montare a neve le nuvole e poi stendere il composto su cielo azzurro, con l’aiuto prezioso del vento. Bianco su bianco, tra l’erba alta e incolta, giocano gioiose due orecchie. Un balzo, un salto, ma che fa?

“L’ho visto - dice lei, la fantasia - l’ho visto! Quel gatto ti ha fatto la lingua!”.

Quando l’estate è alta in cielo, solo la fame può interrompere i giochi in cortile. Con la palla sottobraccio e un girasole in mano, entrare in casa per rinfrescarsi un po’.

In cucina, l’acqua bolle in pentola e alla tv una voce di donna aggiunge due gradi alla temperatura prevista per domani. Aggiungere alla scena anche una nuvola di farina che la nonna sparpaglia sul tagliere adorno, mentre il ventilatore mescola continuamente gli odori.

Limone, pinoli, “c’è qualcosa in forno?”. Regalare il fiore alla nonna e guadagnarsi una carezza allo zucchero; intanto il forno suona un inno di gioia.

A questo punto, scaldare il pancino a 180° e poi stendere la tovaglia sul tavolo. Dopo aver sistemato bene piatto e posate, aggiungere la torta, un bicchiere di succo e fare merenda.

Montare bene i freni sulle biciclette e raggiungere un campo di maggio. Volare in sella tra i ciliegi, con il sole negli occhi e qualche caduta da ridere, e poi fermarsi a raccogliere le ciliegie.

Mescolarne il sapore alle corse, agli abbracci e alla terra dentro le scarpe.  Se la mente risulta ancora troppo pesante, aggiungere solletico a volontà. Stendersi a riposare su una coperta a fiori e lasciarsi dorare dal sole, fin quando il rosso del cielo farà a gara con i ciliegi.

Con un velo di tristezza, girare le biciclette e tornare a casa, pronti per gustare il sapore che una giornata così lascia sulla pelle.

In una giornata che proprio non va, cercare in dispensa un sorriso e cuocerlo al punto giusto. Frullarlo con un cucchiaio di dolcezza e aggiungere ottimismo, senza preoccuparsi di abbondare.

Aprendo la credenza, e anche il cuore, prendere un bicchiere trasparente e disporvi a strati il composto: sotto il sorriso e sopra il rossetto; poi servire agli amici.

Distesi sul prato, in vesti di spettatori senza biglietto, mescolare l’entusiasmo all’attesa. Lo spettacolo sta per cominciare, fare silenzio.

Il sipario bianco si divide in due parti e sul palco un uomo e una donna ballano un valzer. Lento. Lei, imbevuta di eleganza, volteggia del suo abito nero mentre lui, in uno smoking di latte, la accompagna per la pista. L’orchestra intona i loro passi così come l’uomo adatta le sue note alla vita.

Ed è giorno ed è notte, una piroetta e stop. Si fermano una di fronte all’altro facendo l’inchino. Le luci di scena si abbassano; c’è silenzio ed ecco, sul palco, l’eclisse.

Per tutte le volte in cui sono caduta a terra e ti sei seduta accanto a me. Per quelle volte in cui mi hai lasciata andare, fare, sbagliare.
Per essere una guerriera senza chiedere medaglia. Per avermi ricordato chi sono, quando pensavo di averlo dimenticato.
Per insegnarmi ogni giorno cos’è una donna. Per mille di queste volte Mamma, grazie. Sei la rosa di maggio, nei deserti del mio cammino.

Aspettare che il primo sole all’alba riscaldi la sabbia al punto giusto. Fare un miscuglio di protezione solare, acqua marina e brezza di maggio: poi aggiungere piano piano la pelle, bianca come il latte, e lasciarsi coccolare dal silenzio.

Perdersi seguendo le impronte impresse sulla sabbia, salutare a naso in su il sole da dietro il vetro degli occhiali e dare forma così alla giornata perfetta. Cotti al punto giusto, col tramonto alle spalle e l’estate tra i capelli, raggiungere presto casa e rinfrescarsi le idee con un bagno tiepido.

Uscire a fare un passeggiata, dopo il meritato riposo, con un po’ di trucco e un profumo di fresco. Vestirsi di panna, per dare risalto alla pelle che, finalmente, panna più non è.

Sciogliere i malumori di una settimana terribile e scendere in cucina, dopo un bel bagno caldo. Mescolare panni da stirare e faccende da sbrigare con olio di gomito e fretta q.b. Infornare la cena, che da sola non si prepara, e poi aggiungerla alla lista.

Curare con amore qualche ginocchio sbucciato, un bel voto mancato o un cuore che duole. Buttare dentro una litigata al telefono col marito e qualche schiamazzo dei bambini. Arrivare a sera, esausta e finalmente sedersi.

L’impasto è riunito: guardarlo mentre gioca, mentre legge il giornale sul divano, mentre ti abbraccia e ti racconta la sua giornata. Dimenticarsi della fatica e rendersi conto che niente è come casa.