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emergenza sanitaria e storia locale

Rivolpaio (Sant'Agata Feltria): chiesa di San Vitale

Tempo di Coronavirus, tempo per mettere a fuoco anni di studio e ricerca. Vogliamo raccontare oggi una storia, mai scritta prima: non esistono bibliografia o articoli scritti precedentemente a questo. Se la cerchi su “Google” non ne esce nulla.

Nella foto, la chiesa semidistrutta di Rivolpiano

Vogliamo dare voce a chi non l’ha mai avuta e rendere conosciuti documenti finora inediti. Stiamo parlando della chiesa di San Vitale di Rivolpaio e della sua comunità, in comune di Sant’Agata Feltria. Questo edificio, sviluppato in forma rettangolare risalente al XIII secolo, è composto a destra dalla chiesa, con ingresso laterale, e a sinistra la canonica, aggiunta successivamente. La parte absidale della chiesa, a pianta rettangolare, presenta struttura muraria in conci di pietra squadrata, tardo romanica, simile a quella della chiesa di Montetiffi, con una finestretta nel fondo, arcuata e a strombatura, che venne murata nel XV secolo per potervi apporre, all’interno, l’affresco. La finestrina, da fuori, è visibile perché murata dalla parte interna e non per tutta la profondità della parete, molto spessa. L’affresco, che ho potuto vedere e fotografare 23 anni fa in una “missione” giovanile di censimento di tutte le chiese, raffigurava la Madonna col Bimbo, ed era di fattura semplice, forse locale, del secolo XV. Dico era perché oggi è totalmente scomparso, sciolto dalle intemperie dopo il crollo del tetto. La vita della chiesa si conclude il 3 maggio 1972: quando il condirettore dell’ufficio amministrativo diocesano, don Vittorio Morosi, si reca a Rivolpaio e insieme agli abitanti tolgono, così da evitare la perdita del patrimonio come successo in altre chiese, tutti gli oggetti e li portano nella scuola elementare, evitando smarrimenti.

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Ci restano tre (che qui pubblichiamo) fotografie dell’evento e un elenco dettagliato con le centinaia di cose prelevate. Da quel momento i parrocchiani, gelosi della loro “roba”, si prendono a cuore la custodia allestendo una chiesina dentro la scuola. Successivamente, dato anche lo spopolamento, la scuola viene venduta per farvi una seconda casa, sorte comune a tutte le case del caratteristico borgo, che costituiva il nucleo più abitato della parrocchia, distante oltre un chilometro dalla chiesa, che resta abbandonata. Il materiale, che in parte ho potuto vedere, disposto alla meglio in una cantina, è rimasto sul posto, testimonianza di quel mondo ora perduto, tra cui due campane del 1500.

Verso il 1935 arriva in parrocchia don Ermenegildo Tagliaferri, appartenente a una comunità religiosa di Piacenza, che si incardinò nella Diocesi di Sarsina divenendo prete secolare, accolto dal vescovo Pallaroni, anche lui Piacentino. Rimarrà a Rivolpaio fino alla fine degli anni ’60, mentre il mondo cambiava mentre lì restava fermo il tempo. Si racconta che il sacerdote passasse tanto tempo nei boschi, per fare legna o raccogliere erbe, cucinare animali, vivendo una vita di povertà estrema, ma con grande umanità: i vecchi raccontano ancora tanti momenti di veglia, in casa sua, davanti al focolare, il come creasse unguenti per curare i suoi fedeli. Il momento preciso in cui lasciò la residenza in parrocchia ancora non ho potuto conoscerlo, credo verso il 1968: il sacerdote si trasferì in una stanza, nel piccolo hotel Perlini di Sant’Agata Feltria, dove passò alcuni anni.

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Tempo fa mi sono recato a bussare alla porta delle due sorelle ormai anziane che gestivano la struttura e mi hanno fatto vedere la stanza, che è quella in cui poi ora vivono, in cui abitava don Gildo. Un fedele parrocchiano lo accompagnava in auto inizialmente, a Rivolpaio, per le messe festive. Dopo un breve soggiorno al Santa Teresa di Ravenna, morì il primo aprile 1975. Nessuno era a conoscenza di dove si trovasse la tomba di don Gildo, dicevano “giù nella zona di Cesena”, fintanto che una signora, bambina ai tempi di don Gildo e ora trasferita, mi disse che era sepolto al cimitero di Montereale. Questo perché la famiglia Zanchini, che a Rivolpaio coltivava il podere della parrocchia, vi si era trasferita da poco cercando migliore fortuna, e volle occuparsi della sepoltura del sacerdote. Seguendo l’amore per la storia della mia terra, qualche anno fa andai a Montereale e trovai la tomba, e anche la famiglia Zanchini ancora lì residenti, dai quali però non ebbi ulteriori notizie per condizioni di salute ed età. Non sono a conoscenza del luogo dove venne fatta la cerimonia funebre e da chi venne celebrata.

Ci resta una lettera commovente, del primo ottobre 1974, indirizzata al vescovo Gianfranceschi: “Eccellenza, siamo gli abitanti della parrocchia di San Vitale. E’ da anni che nessuno si occupa di noi, nessuno mai ci viene a dire la messa, se non per caso, qualche volta l’anno, nessuno viene a visitarci e a benedirci a casa nostra a Pasqua. I bambini, per fare la prima Comunione, devono pregare un parroco di un’altra Diocesi e fare tanti chilometri di strada per tanti giorni per essere un po’ preparati. Neppure il vescovo lo abbiamo mai visto. Saremo pochi, saremo poco istruiti e un po’ sbandati, ma ci pare di ricordare che il nostro prete, quando c’era, ci diceva che il pastore buono andava a cercare anche una pecora sola sbandata. Non pretendiamo grandi cose: solo di non essere del tutto dimenticati. Domandiamo la Messa ogni tanto: una volta ogni 15 giorni, una volta al mese magari, quando il tempo lo permette. Siamo davvero figli di nessuno? Ci faccia sentire che anche noi siamo figli di Dio, anche se stiamo a Rivolpaio, anche se non siamo ricchi, anche se non siamo dottori, ma solo poveretti”. Seguono 36 firme. Dopo due anni la parrocchia venne spostata alla Diocesi di Montefeltro e affidata a un frate cappuccino di Sant’Agata Feltria. E la chiesa di San Vitale, nel suo morire quotidiano, ci ricorda che tutto quello che è di questo mondo ritorna alla terra.

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