Valle Savio
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77esimo anniversario

Tavolicci, una strage tanto efferata quanto misteriosa

Ricordare per non dimenticare l'orrore, cercando di tramandare

Tavolicci, una strage tanto efferata quanto misteriosa

Tavolicci, 22 luglio 1944, ore 5 del mattino. Un eccidio orrendo nelle circostanze, nei modi, nel numero delle vittime: su 64 morti 19 erano bambini sotto i 10 anni. Una strage assimilabile a quella di Marzabotto o di Stazzema, ma qui la radice del male non era solo tedesca, anzi...verosimilmente e forse maggiormente italiana.

Gli abitanti di quel pugno di case dislocate a 5 chilometri da Sarsina conoscevano e in una occasione precedente avevano anche particolarmente temuto la rappresaglia tedesca. Era infatti il 7 aprile di quello stesso anno quando ancora nel buio del primissimo mattino due soldati tedeschi distaccandosi da una pattuglia in perlustrazione, facendosi luce con una candela accesa, spingendone la porta, entrarono in un casolare di Tavolicci. Improvvisi rumori e tramestii li impaurirono, la candela si spense. Convinti di essere finiti in una trappola, lanciarono una bomba a mano nel fondo dell'oscurità scappando dalla bassa finestra prima dello scoppio, che uccise due mucche nella vicina stalla. I camerati, non lontani, allertati dallo scoppio stesso, per via della pochissima luce scambiandoli per partigiani in fuga, non esitarono a far fuoco su di essi uccidendoli. Quel giorno e quelli successivi gli abitanti di Tavolicci temettero molto la rappresaglia tedesca, ma nulla poi successe, forse perché in quella stessa mattina si udirono ripetuti spari provenienti da un lontano bosco. Partigiani in azione che da qualche parte attaccavano? È probabile, ma non è dato certo. Certo invece ciò che era accaduto in quello stesso giorno nel non lontano paese di Fragheto. Una tragica notizia che in poche ore si era diffusa in quel lembo di Appennino. Era stato perpetrato un eccidio di rappresaglia nazi-fascista con 45 morti, di cui 30 erano abitanti del paese e 15 partigiani catturati nelle zone circostanti. E Fragheto dista ben poco da Tavolicci, poco più di un'ora di cammino, passando per sentieri e scorciatoie allora molto utilizzate.

Comunque quel 22 luglio 1944 a Tavolicci non c'erano stati né agguati, né morti tedeschi e neppure feriti, tantomeno movimento di pattuglie partigiane in zona. Eppure la strage fu orrenda: 64 le vittime fra cui donne, anziani, bambini, strappate dai letti delle loro case, tra urla e violenze rincalcati e messi a terra nella stanza di un casolare dal solaio di legno. Fu incendiata la paglia che conteneva dopo che sulla massa terrorizzata degli inermi, a più riprese, fu fatto fuoco con successive raffiche di mitra. Al di fuori, in quel furore, una decina di uomini terrorizzati e impauriti a cui erano state legate le mani dietro la schiena con vitalbe strappate dalla boscaglia. Questi furono subito sospinti e avviati verso San Vitale in località Campo del fabbro, territorio del comune di Sant’Agata Feltria a circa 2 chilometri di distanza. Introdotti in una casa colonica abbandonata furono in parte incatenati ad una greppia della stalla e gli altri spinti nella cantina. Li trucidarono sbrigativamente dopodiché, aperte e rovesciate delle botti, lasciarono che il vino contenuto allagasse quei poveri corpi giacenti, rendendo così ancor più macabra quella terribile esecuzione.

Ma se non c'erano stati tedeschi morti, tantomeno feriti, perché tanta bestialità? Se di rappresaglia si trattava da parte di chi avveniva? Per quali motivi? Erano poi tedeschi i carnefici o solo italiani, o tedeschi e fascisti per meglio qualificarli? È uno dei non pochi misteri a tutt'oggi non pienamente chiariti. Un processo del 1947 alla Corte d'Assise di Forlì e uno a seguire del 1949 non approdarono ad alcunché. Le testimonianze successivamente raccolte dai pochissimi scampati, spesso incerte e contradditorie, non hanno portato chiarimenti in questa direzione. In sostanza sembra che l'eccidio non sia stato perpetrato tanto da tedeschi, quanto da elementi della Guardia nazionale repubblichina (Sarsina era controllata dal IV battaglione volontari di polizia italo-tedesca, la Freiwillingen Polizei - Battaillon Italia, le SS italiane al servizio diretto nell'esercito nazista). Mussolini protestò contro la Germania per quel fatto, attribuendo l'efferata strage alla sua SS, ma quest'ultima respinse subito l'accusa con un netto rimpallo di responsabilità.

Certamente, anzi senza alcun dubbio, alcuni degli assassini (avrebbero avuto il volto coperto) parlavano italiano. È possibile quindi pensare anche ad una reazione quanto mai irrazionale e sbrigativa di italiani contro italiani, probabilmente rei, questi ultimi, di abitare in un borgo che, secondo certe testimonianze e ripetute dicerie era divenuto recapito e luogo di smistamento di tutto ciò che più o meno sedicenti partigiani continuavano a razziare soprattutto nei vicini territori di Sant’Agata Feltria e del Pesarese, creando poi aree di vero e proprio mercato nero, inaccettabile da parte di possidenti e commercianti dei piccoli centri dell'Appennino soprattutto marchigiano, continuamente vessati e minacciati da comportamenti illegittimi.

Per questo numerose sarebbero state le lamentele e le richieste di provvedimenti che giungevano al presidio militare di Sarsina, formato da un centinaio di repubblichini e due soli tedeschi. Il comandante italiano, un certo Alicata di Messina era giudicato dai sarsinati come un soggetto determinato, sbrigativo e sanguinario. Il contrario del vice comandante, un certo Porpora originario di Roma. Dopo l'eccidio, proprio a quest'ultimo si rivolse il parroco di Monteriolo don Vicinio Caminati che aveva la cura d'anime anche di Tavolicci. Questa la sua testimonianza: “Chiesi al vicecomandante Porpora il perché di tanta efferatezza. Rispose: 'Eravamo tutti ubriachi ed è accaduto quel che è accaduto'”.

In quegli anni, un altro sacerdote, don Giovanni Babini, fratello di Adele Babini, la maestra che insegnava nella pluriclasse di Tavolicci (una foto storica ce la ricorda con tutti i suoi bambini che furono poi tra le vittime) era parroco della vicina frazione di Pereto che dista 2 chilometri dal luogo dell'eccidio. Nell'ottobre 1945 scrisse in proposito un memoriale, forse il primo documento importante sui fatti avvenuti, redatto a circa 15 mesi dall'evento. Tra le altre varie testimonianze a posteriori raccolte tra gente la più diversa, ne esiste una secondo la quale “dopo l'eccidio del 22 luglio, sette feriti sopravvissuti perché finiti sotto il mucchio dei morti, trasportati ad Alfero, furono curati e salvati presso lo stesso comando tedesco che lì era dislocato. I tedeschi, se non erano provocati, non molestavano”. Sta di fatto tuttavia che per l'ufficialità storica quel massacro porta il marchio nazi-fascista.

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