Siamo tutti utenti o sudditi delle big tech?
A partire dall’attacco hacker alla pagina Facebook del Piccolo una riflessione sulla tutela delle nostre comunità digitali
Come molti di voi avranno notato, la pagina Facebook dell’edizione faentina del Corriere Cesenate, Il Piccolo Faenza, ha subito un attacco hacker. Dal primo giorno ci siamo messi al lavoro affiancati da tecnici, professionisti della cybersicurezza, aziende specializzate.
Non sarà un percorso facile. Provare a dialogare con Meta è un po’ come aggirarsi in un racconto di Borges: pagine che rimandano a pagine, percorsi che si chiudono nel nulla, bot automatici che rispondono a metà, nessun form chiaro per segnalare qualcosa che per migliaia di utenti è evidente. A fatica — nei giorni scorsi — siamo riusciti ad aprire un ticket ufficiale.
Ma la domanda vera è un’altra: se perfino aziende specializzate in sicurezza informatica faticano a orientarsi, che speranza ha un singolo utente? Viviamo in un mondo nel quale una parte enorme della nostra identità digitale — lavoro, relazioni, promozione culturale, informazione — passa per piattaforme che restano quasi del tutto opache. Ne usiamo i servizi ogni giorno, ma non conosciamo davvero le loro regole interne, le responsabilità, la catena delle decisioni, i criteri con cui vengono gestiti i nostri dati.
Ci illudiamo di controllare i social perché li utilizziamo con scioltezza, ma è un’illusione.
Secondo documenti interni rivelati da Reuters, Meta nel 2024 avrebbe incassato fino a 16 miliardi di dollari da pubblicità truffaldine, pari al 10 dieci per cento dei ricavi. Se confermato, sarebbe un dato che mette in questione non solo i valori aziendali, ma la capacità stessa di presidiare con serietà gli spazi digitali che affidiamo loro. E allora la lentezza nell’intervenire sugli account compromessi potrebbe non essere solo un problema tecnico. Potrebbe essere il riflesso di un sistema costruito più per massimizzare entrate e traffico che per proteggere persone e comunità.
Questo episodio riguarda noi, ma non solo noi. Parla di un tema civile e giornalistico: chi garantisce la sicurezza, l’affidabilità e la dignità degli spazi digitali dove oggi passa gran parte della vita democratica? Lo sappiamo bene: i social sono importanti per un giornale locale. Non per inseguire like, ma perché sono uno dei luoghi dove si intercettano lettori, si dialoga con la città, si costruisce memoria collettiva.
Viviamo in una contraddizione: chiediamo ai social di essere spazi pubblici, ma restano proprietà private, governate da algoritmi e procedure che non rispondono a nessun territorio, a nessuna comunità, a nessun garante vicino. Su questo, è bene che l’opinione pubblica e la politica si interroghino.
Nel frattempo il nostro lavoro non si ferma: Il Piccolo continua regolarmente la sua attività sul settimanale cartaceo, sul sito ilpiccolo.org, su Instagram e sugli altri canali. Torneremo su Facebook il prima possibile — e con una nuova consapevolezza. Perché se questo attacco ci ha insegnato qualcosa è che la fragilità digitale non riguarda “gli altri”: riguarda tutti.
Ci scusiamo per quanto accaduto e ringraziamo tutti per i messaggi di solidarietà ricevuti. Continueremo a presidiare — con ancora più convinzione — la qualità dell’informazione, la prossimità con il territorio, il dialogo vero che nessun algoritmo può sostituire.
