L’assurdo: per non nominare il Natale si finisce per non nominare nulla

"Il dialogo si fa tra identità forti, non tra simulacri sbiaditi", scrive Andrea Rava di Faenza

Un'immagine del presepe vivente delle scuole del Sacro cuore di Cesena, proposto due giorni fa in città Foto Sandra e Urbano, fotografi a Cesena
Un'immagine del presepe vivente delle scuole del Sacro cuore di Cesena, proposto due giorni fa in città Foto Sandra e Urbano, fotografi a Cesena

La denuncia di un lettore che scrive al direttore: “Togliere il Natale rende lo Stato solo più vuoto e smemorato”

Un grande sconforto

Caro direttore, caro Francesco, ti scrivo oggi, in questi giorni che dovrebbero essere di attesa e di gioia, pur sapendo che questa mia riflessione non potrà trovare spazio immediato sulle tue colonne, dato che le pubblicazioni del nostro (perché lo considero patrimonio della comunità) settimanale riprenderanno solo il 15 gennaio. Ma lo sconforto che provo è troppo grande per attendere i tempi della cronaca, e sento il bisogno di condividere con te una ferita aperta.

Happy festive season

L’amico comune Rocco De Lucia ha rilanciato sui social un’immagine che è il manifesto del nostro tempo: un anonimo cavalletto pubblicitario che, in un inglese da depliant aeroportuale, augura una “Happy Festive Season”. Non più “Merry Christmas”, dunque, ma una generica “stagione festiva”. È la follia di chi, per non nominare il Natale, finisce per non nominare nulla. Siamo di fronte a un’operazione di pulizia etnica del linguaggio, dove la parola “Natale” viene percepita come un inciampo, un ospite sgradito da eliminare per non “urtare” la sensibilità altrui. Ma questa neutralità di facciata non è accoglienza; è, al contrario, il sintomo di una patologia che sta divorando l’anima dell’Europa.

L’onestà intellettuale della Ginzburg

Mi è tornata in mente la lezione di Natalia Ginzburg, che trent’anni fa scriveva sull’Unità parole che oggi suonerebbero eretiche. Lei, donna laica e di origini ebraiche, si schierava a difesa del Crocifisso e dei simboli cristiani non per devozione, ma per onestà intellettuale. Diceva che il Natale fa parte della nostra ossatura, è la linfa di una storia che ci ha generati tutti, credenti e non. Toglierlo non rende lo Stato più libero, lo rende solo più vuoto e smemorato.

L’odio di sé

Ma il punto più alto lo troviamo nel memorabile discorso che l’allora cardinale Ratzinger tenne nel 2004 sul destino dell’Occidente. Ratzinger ebbe il coraggio di denunciare quella che definiva una “ragione patologica”: un Occidente che tenta disperatamente di staccarsi dalle proprie radici, quasi provasse vergogna della propria identità. Egli spiegava che la vera minaccia non viene dall’esterno, ma da questo strano “odio di sé” che ci porta a considerare la nostra eredità culturale — ciò che di buono e di grande abbiamo prodotto — come qualcosa di divisivo o addirittura offensivo.

Il rischio di una comunità basata sul nulla

Secondo Ratzinger, l’Occidente sta tentando di costruire una comunità basata sul nulla, convinto che il vuoto sia l’unico spazio in cui tutti possono convivere. Ma è un’illusione tragica. Se non sappiamo più dare un nome alla festa che celebriamo, se nascondiamo il Bambino dietro un paravento di “buone feste” per timore di non essere abbastanza inclusivi, come possiamo pensare di dialogare seriamente con altre culture che, invece, vivono la propria identità con orgoglio? Il dialogo si fa tra identità forti, non tra simulacri sbiaditi.

Il trionfo del nichilismo garbato

Cancellare il Natale significa rinunciare all’idea stessa di persona, di carità e di speranza incarnata. Questo “Festive Season” è il trionfo di un nichilismo garbato che preferisce il silenzio alla verità. Sono certo che il nostro Il Piccolo (edizione faentina del Corriere Cesenate), fedele alla sua missione, continuerà ad opporsi a questa deriva che vorrebbe ridurci a consumatori senza memoria. Perché se perdiamo le parole, perderemo presto anche il senso di chi siamo.
Con stima e con l’augurio di un Natale vero.
Andrea Rava – Faenza