Sarsina, il vescovo Douglas ha aperto il Giubileo in Diocesi

Questa mattina con una Messa solenne nella Concattedrale

La processione guidata dal vescovo Douglas, questa mattina a Sarsina. Foto Pier Giorgio Marini
La processione guidata dal vescovo Douglas, questa mattina a Sarsina. Foto Pier Giorgio Marini

La celebrazione è stata preceduta da una processione partita dalla chiesa del Suffragio

Questa mattina nella Concattedrale di Sarsina il vescovo Douglas Regattieri ha aperto il Giubileo in Diocesi. In chiesa sono presenti il sindaco di Sarsina Enrico Cangini (c’è pure il gonfalone del Comune), quello di Mercato Saraceno, Monica Rossi, di Bagno di Romagna, Enrico Spighi, l’ex sindaco di Verghereto, Fedele Camillini, e numerosi fedeli che partecipano all’Eucaristia animata dai canti eseguiti dalla locale corale.

Con monsignor Regattieri hanno concelebrato il parroco don Rudy Tonelli e gli altri sacerdoti in servizio presso la basilica Concattedrale. Sull’altare anche i diaconi Massimo Giannini e Sergio Giampreti. Il servizio liturgico è stato curato dal cerimoniere don Marco Muratori.

Di seguito pubblichiamo il testo integrale dell’omelia pronunciata da monsignor Regattieri.

Un Giubileo ogni 25 anni. Breve storia

Apriamo il Giubileo, fedeli alla scadenza temporale che all’inizio registrava questo evento ogni cinquant’anni, poi fu ridotto a ogni 25 anni. Esso conserva ancora oggi – pur avendo raggiunto la considerevole età di sette secoli di vita – il suo significato. Il primo Giubileo fu celebrato nel 1300 da papa Bonifacio VIII. Le sue radici affondano nella legislazione ebraica (Cfr Lv 25, 8-13); doveva essere un anno, dopo sette settimane di anni, in cui ristabilire il corretto rapporto nei confronti di Dio, tra le persone e con il creato. Comportava la remissione dei debiti, la restituzione dei terreni alienati e il riposo della terra che non doveva essere coltivata per un anno lasciando così a Dio, unico padrone e signore, di provvedere ai suoi figli.

Il Giubileo all’insegna della restituzione

Apriamo il Giubileo all’insegna della restituzione. Vorrei soffermarmi proprio su questa parola che mi sembra possa esprimere il vero senso dell’esperienza giubilare.

  1. Restituire a Dio ciò che è suo

Restituire a Dio ciò che è suo. È questo il primo aspetto su cui ci soffermiamo. “Che cosa renderò al Signore per quanto mio ha dato?”, si chiede il salmista (Sal 115); il salmista risponde che alzerà il calice della salvezza comprendendo così i moltissimi doni ricevuti da Dio. San Basilio commenta che l’uomo non deve limitarsi a fare sacrifici e olocausti… ma deve restituire la stessa vita. Per questo dice: Alzerò il calice della salvezza “chiamando calice il patire nel combattimento spirituale, il resistere al peccato sino alla morte” (Basilio, Commento al salmo 115, PG XXX,109).

In questo senso sono illuminanti i due testi biblici che abbiamo ascoltato nella prima lettura e nel vangelo (Cfr 1Sm 1, 20-22.24-28; Lc 2, 41-52). Anna, sterile, riceve da Dio il dono della maternità. Partorisce Samuele. Davanti al sacerdote Eli, nel tempio, ella prega: “Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho chiesto. Anch’io lascio che il Signore lo richieda; per tutti i giorni della sua vita egli è richiesto per il Signore” (1Sm 1, 27-28). Anna chiede il dono di un figlio. Il Signore l’ascolta e le dona Samuele. Ma poi sarà il Signore a chiederlo indietro. E Anna Glielo restituisce.

Chiamati a fare la sua volontà

Così nel vangelo: è il Figlio stesso di Dio, il ragazzino Gesù, che davanti ai genitori terreni ha il coraggio di esprimere i diritti di Dio; egli appartiene al Padre e deve fare la sua volontà; al Padre deve restituire ogni cosa: “Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2, 49). Tale restituzione Gesù la esprimerà anche più avanti, nel vangelo, quando dirà: Io, tutto quello che il Padre mi dice lo faccio; io non faccio nulla da me stesso (Cfr Gv 5, 30). Fare la volontà del Padre è la vera restituzione del Figlio. I diritti di Dio: siamo chiamati in quest’anno giubilare a garantirli con la nostra gioiosa lode, con la nostra generosa obbedienza, con la nostra tenace voglia di fare la sua volontà!

Scrive san Colombano ai suoi monaci; ma vale anche per noi. “Ricordiamoci che gli dobbiamo restituire tutti quei doni che egli ha depositato in noi quando eravamo nella condizione originaria… Dobbiamo restituire a Dio e Padre nostro la sua immagine non deformata, ma conservata integra mediante la santità della vita” (Dalle Istruzioni, 11, 1-2).

Restituisci: quello che hai non è tuo

  • Pagare il debito della carità vicendevole

Pagare il debito della carità vicendevole. È la seconda restituzione. Stavolta verso gli altri; verso di loro abbiamo un debito, quello di amarci scambievolmente (Cfr Rm 13, 8). Ce l’ha detto anche l’apostolo Giovanni nella seconda lettura: “Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del suo Figlio Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri” (1Gv 3, 23). Questo è l’unico debito che ci portiamo fino alla morte. Si tratta di estinguerlo con una carità generosa, già adesso su questa terra, in modo che giunti al cospetto del Giudice divino non abbiamo delle pendenze sulla nostra coscienza, ma, liberi, gli andiamo incontro… Chi ama l’altro, dice l’apostolo, ha adempiuto la legge (Cfr Rm  13, 8).

Ma l’altro è anche il povero. E qui tocchiamo un punto essenziale che i Giubilei da sempre hanno sollecitato nella vita dei cristiani: amare i poveri; anzi restituire loro ciò che indebitamente è stato loro tolto! Forte è l’ammonimento che san Giovanni Crisostomo rivolgeva nel quarto secolo ai suoi cristiani e che è ancora oggi validissimo: “Il Signore ha versato il suo sangue per i nemici, mentre noi non siamo disposti a versar denaro, neppure per chi ci ha fatto del bene. Il Signore ha dato per noi il proprio sangue, e noi non diamo neppure di quel denaro, che in fondo non è nostro” (Comm. a Rm 7). E anche san Basilio: “Il pane che a voi sopravanza è il pane dell’affamato; la tunica appesa nel vostro armadio è la tunica di colui che è nudo; le scarpe che voi non portate sono le scarpe di chi è scalzo” (Basilio Magno, Omelia VI in Luca, XII, 18: PG XXXI, col. 275). Restituisci: quello che hai non è tuo!

Condonare il debito dei Paesi poveri. È questione di giustizia

Non sarei tranquillo se non terminassi questo secondo punto con un appello che il Papa ci ha detto di rilanciare, da ogni Diocesi, ai grandi di questo mondo, ai potenti e ai responsabili delle nazioni: condonate il debito dei Paesi poveri; non sono in grado di pagare, dice il Papa. Li avete sfruttati fino all’osso e ora pretendete che vi ritornino ciò che avete loro rubato? Condonate i debiti di quei “Paesi che mai potrebbero ripagarli. Prima che di magnanimità, è una questione di giustizia, aggravata oggi da una nuova forma di iniquità di cui ci siamo resi consapevoli” (Spes non confundit, 16). E ancora – sono sempre parole del papa nella Bolla di indizione del Giubileo – “Propongo ai Governi che nell’Anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi” (Spes non confundit, 10).

Cancellazione del debito dei Paesi poveri e ricerca di qualche forma di amnistia e di liberazione per i detenuti: sarà davvero Giubileo e non solo parole.

Restituire la terra a Dio. Non saccheggiarla e depredarla

  • La terra è di Dio

C’è una terza restituzione a cui siamo chiamati: restituire la terra a Dio. In realtà la terra il Signore ce l’ha donata perché la coltivassimo e la custodissimo (Cfr Gen 2, 15). Coltivandola e custodendola noi in qualche modo la restituiamo alla sua originaria vocazione; rispettandola e amandola non facciamo altro che ridonarGli un dono prezioso, impreziosito dal nostro lavoro; curandola e proteggendola accresciamo la sua bellezza e al tempo stesso le permettiamo di essere fonte di gioia e di sostentamento per l’uomo; depredandola e saccheggiandola essa diventerà casa inospitale perdendo la sua luminosa essenza, “perché  – come scriveva David Maria Turoldo – è Dio che nei prati fiorisce, / si espande, dilaga e poi torna a fiorire. / Questo solo è peccato, / origine di ogni altro errare / il non aver saputo che la terra è di Dio / che egli è nel cuore delle cerve / e sotto le ali delle rondini” (D. M. Turoldo, «Vigilia di Pasqua» (Gli occhi miei lo vedranno, 1955), OS, p. 240).

Anche questo sarà Giubileo.

(Ha collaborato Michela Mosconi da Sarsina. Le fotografie sono di Pier Giorgio Marini)