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Rassegna "Cinema e psiche: dall’infanzia all’adolescenza"

Hikikomori, ritirati sociali: centomila i casi in Italia

Dopo la proiezione del film “Mille modi per descrivere la pioggia”, l’incontro-dibattito con gli esperti sul fenomeno sociale nato in Giappone negli anni Ottanta.

Hikikomori, ritirati sociali: centomila i casi in Italia

Ritirati sociali. Il toccante tema degli Hikikomori è stato al centro di un evento che si è tenuto lunedì 21 ottobre al cinema Eliseo, a seguito della proiezione del film “Mille modi per descrivere la pioggia”, di Isa Prahl, nell’ambito della rassegna Cinema e psiche: dall’infanzia all’adolescenza, curata dalla psicologa e psicoterapeuta Mirella Montemurro. Il termine giapponese significa letteralmente “stare in disparte”.

Dopo le proiezione ne hanno parlato il dottor Franco Mazzini, pediatra esperto dell’età adolescenziale della Ausl della Romagna, e la dottoressa Antonella Rogai, medico e referente Romagna dell’associazione Hikikomori Italia Genitori onlus.

Dopo un primo excursus del dottor Mazzini sulle origini di questo fenomeno sociale nato in Giappone negli anni Ottanta, la Rogai ha fornito una panoramica sui numeri che riguardano il nostro Paese (si stimano circa 100mila ragazzi in ritiro sociale, dai 14 ai 30 anni e oltre) e il territorio emiliano-romagnolo. Ma al di là dei numeri si è parlato delle esperienze di vita delle famiglie che vivono questa situazione di profonda sofferenza. Non si tratta di una patologia, ma piuttosto di una condizione che porta la persona a uscire di scena.

Quali sono le caratteristiche e i fattori che accomunano queste persone? Generalmente si tratta di ragazzi sensibili e intelligenti, provenienti da famiglie con una scolarizzazione medio-alta, piuttosto esigenti rispetto all’educazione dei figli. In alcuni casi sono presenti eventi scatenanti nell’ambiente scolastico, come atti di bullismo, o incomprensioni da parte degli insegnanti, che aumentano il disagio dei ragazzi.

Importanti per comprendere l’origine del fenomeno sono le pressioni sociali, quali la performance, la competizione, gli standard comunemente diffusi fra i pari che generano ansia e senso di inadeguatezza che la persona non riesce a sostenere. Per questo quando dalla platea, profondamente toccata dalle immagini del film e dalle parole dei relatori, qualcuno chiede chi siano le persone a rischio ritiro, la Rogai risponde senza esitazione “tutti i nostri figli, si tratta dei figli di tutti”.

Spesso si è portati a pensare che il ritiro sociale sia una conseguenza di un eccessivo uso della rete, smartphone e video giochi, ma non tutti i ragazzi in ritiro ne fanno uso. In ogni caso, la rete rappresenta la loro finestra sul mondo, lo strumento con cui creano contatti con altre persone, leggono, nutrono anche passioni diverse. “Il ritiro sociale è una condizione che ha un impatto sconvolgente su tutta la famiglia”, sottolinea la Rogai.

“Si passa attraverso una profonda sofferenza, perché si ha tutti i giorni sotto gli occhi un figlio che se ne sta chiuso in casa, che non vive nel mondo come i suoi coetanei. Questo fa malissimo perché sono comportamenti avulsi dal nostro immaginario, da quello che abbiamo vissuto fino a quel momento. Tuo figlio è lì, talvolta con tapparelle abbassate, spesso nella sua camera, che sta combattendo contro la paura dell’inadeguatezza, cercando di gestire sentimenti ed emozioni a cui nessuno è preparato”.

A fronte di questa emergenza, nel giugno 2017 è nata l’associazione nazionale Hikikomori Italia Genitori onlus, fondata da Marco Crepaldi, laureato in psicologia sociale, insieme ad Elena Carolei, presidente dell’associazione, gestita esclusivamente da genitori volontari.

Sono circa 1.950 le famiglie su tutto il territorio nazionale che fanno parte di un gruppo Facebook dedicato e circa 500 gli associati. “Il punto di partenza è stata la redazione delle ’buone prassi’ attraverso le quali i genitori, le persone più vicine ai ragazzi in ritiro, cercano di ristabilire un clima di maggiore benessere e di accettazione all’interno della famiglia: ascolto attivo, comunicazione empatica, comportamenti e atteggiamenti tesi alla comprensione profonda del figlio/a, evitando qualsiasi tipo di forzatura o giudizio”, spiega la dottoressa. “Poi incontri di auto-aiuto coadiuvati da psicologi esperti e preparati”.

Anche dalla platea arrivano testimonianze di famiglie con esperienze tuttora aperte. Emerge la sofferenza, ma anche la drammatica e, spesso, infruttifera ricerca di aiuto da parte dei genitori presso gli operatori sanitari, in larga parte ancora impreparati a fornire percorsi adeguati. È evidente la commozione di chi parla e di chi ascolta, e altrettanto palese la percezione che si tratta di un fenomeno in forte crescita che la società e le istituzioni dovranno prepararsi ad affrontare in modo trasversale.

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