Cesena
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Passaggi di testimone

La chiesa di San Giuseppe? Qualche anno fa non era a Villa Chiaviche ma in Corso Sozzi

Sessant’anni fa veniva posata la prima pietra della costruzione della chiesa di Villachiaviche, prima chiesa progettata dal giovane architetto Ilario Fioravanti. In questa nuova chiesa venivano portati tutti i tesori della chiesa di San Giuseppe De’ Falegnami, situata in Corso Sozzi, demolita nel 1968

L'ubicazione della vecchia chiesa di San Giuseppe, dove ora c'è la galleria Einaudi accanto alla Bper - Disegno di Antonio Dalmuto

INTRODUZIONE

Al termine di un ricco fine settimana dove la comunità parrocchiale di Villa Chiaviche ha festeggiato il Crocifisso Miracoloso, voglio lasciare a chiunque interessi, un ricordo della vecchia chiesa di San Giuseppe de’ Falegnami.

Sessant’anni fa veniva posata la prima pietra della costruzione della chiesa di Villachiaviche, prima chiesa progettata dal giovane architetto Ilario Fioravanti.

In questa nuova chiesa, creando così uno stile tutto suo di accostamento tra antico e moderno, venivano portati tutti i tesori della chiesa di San Giuseppe De’ Falegnami, situata in Corso Sozzi, demolita nel 1968. Quasi tutti gli arredi sono stati salvati nella nuova chiesa, comprese le piccole cose di poca importanza, come per esempio antichi “grani” di incenso del cero.

Di tale patrimonio hanno beneficiato anche altre chiese della città: due tele facenti parti di un trittico settecentesco dell’Andreini con Adorazione dei Magi e riposo dalla fuga in Egitto si trovano nella chiesa di San Rocco, sono molto anneriti forse anche a seguito dell’incendio sacrilego del 19 maggio 1987; quello che era l’altare maggiore in legno marmorizzato, si trova ora come ancona all’altar maggiore di San Pietro di Cesena, avendo distrutto l’originale i bombardamenti.

La terza tela (adorazione dei Pastori) del trittico sopra menzionato si trova invece, restaurato e luminosissimo, nella sale di ricevimento in Episcopio.

Una piccola splendida immagine della Madonna della Rosa, sempre appartenente alla chiesa di San Giuseppe de Falegnami, si trova presso la Banca Popolare sorta sul sito dove era la chiesa.

LA CHIESA DI SAN GIUSEPPE DE’ FALEGNAMI IN CORSO SOZZI

Tutto inizia nel 1646, quando un gruppo di Falegnami di Cesena decise di costruire in proprio la chiesa di San Giuseppe, sotto il vescovo mons. Pietro Bonaventura. Inizialmente la prima chiesa dei falegnami fu in una casa privata, dei Signori Verardi, non lontano dal Duomo. Questo edificio, sia casa sia chiesa, venne poi lasciato alla Compagnia del Santissimo Sacramento del Duomo, e l’altare di San Giuseppe fu posto nella chiesa del Duomo, intitolandolo a San Giovanni Decollato.

In data 16 maggio 1640 venne eretta la “Confraternita di San Giuseppe” dall’unione di quelli che esercitavano il mestiere di falegnami, e la loro sede fu posta nella chiesa di San Giuseppe nel Borgo, presso Porta Santi. Qui restò fino al 1647 quando si trasferì nella nuova chiesa fabbricata nella contrada di Porta Cervese mediante il lascito alla Confraternita di un edificio. Secondo un elenco del 1684, la Confraternita contava 40 membri: aveva due priori, due sacrestani, un cassiere. Celebrava con particolare solennità la festa del proprio santo protettore il 19 marzo, festeggiava pure le ricorrenze dell’Annunciazione di Maria e di Sant’Anna e del Crocifisso Miracoloso.

“Da prima la stessa Chiesa fu costruita senza nessuna architettura” testimonia lo storico ottocentesco della Compagnia: forse i falegnami, non certo dotati di tante risorse economiche, si sono dapprima solamente insediati nelle case avute in dono, accontentandosi di adattare a più riprese l’edificio di culto. Ancora settant’anni dopo la sua apertura, nel 1706, la chiesa era arrangiata alla meglio e nelle cronache si legge che: “Il residuo de’ denari si spendano per terminare la stabilitura e stoccatura della Chiesa”. Nell’anno 1709 questa confraternita venne aggregata a quella di Roma, sotto Clemente XI.

All’inizio mancava la cappella maggiore, inserita nel 1738 quando un confratello, Vincenzo Magnani, lasciò 100 scudi da utilizzare per ampliare la chiesa a condizione che l’opera fosse compiuta entro 3 anni: pena l’annullamento del lascito. In fretta furono raccolti altri 200 scudi mentre era priore Giovanni Urbini.

Così, nel 1740 la chiesa aveva la sua nuova cappella maggiore e venne aggiunta la casa del presbitero.

Nel 1747 su intervento della famiglia Roverella, iniziata la seconda ancona, contenente il Crocifisso Miracoloso ora conservato a Villachiaviche, scolpito “da un francese per commissione del Sign. Sebastiano Brazzi, patrizio di questa città”. Il turibolo di cui era dotato questo altare, con la grande iscrizione “DONO DI IPPOLITO ROVERELLA” si trova custodito qui a Villachiaviche. Nella cimasa c’era e c’è ancora una immagine della Vergine con Bambino e santi, realizzato dal famoso Bonaventura Andreini verso metà settecento.

Sempre nello stesso anno, 1747, venne commissionato dal sig. canonico Gioacchino Sassi un quadro al pittor Antonio Aldini di Bologna, grande benefattore dei poveri. Tale quadro era collocato a copertura della nicchia del Crocifisso, e aveva sistema di carrucole ancora presenti per poterlo fare scendere, dietro all’altare, in modo da poter mostrare il Crocifisso retrostante. Ora, questo quadro che ritrae le Pie Donne al sepolcro, è collocato sulla parete sinistra della chiesa di Villachiaviche. Ci resta un disegno del 1815 dove è visibile tutta l’ancona, con il quadro della Madonna nella cimasa, il quadro più grande raffigurante le Pie Donne, e la scritta sottostante “Altare del SS. Crocifisso”, che appunto poteva vedersi solo facendo abbassare il quadro che ne chiudeva la nicchia.

Nel 1762 vennero fatti gli armadi in legno della sacrestia, che si trovano anch’essi a Villachiaviche.

Nell’archivio di Stato di Cesena ho rinvenuto un opuscolo stampato nel 1753, in occasione di una lite tra la Confraternita e il parroco di San Zenone, don Matteo Malatesta. Il sacerdote, parroco dell’antichissima chiesa, aveva messo gli occhi sul più moderno edificio de’ Falegnami e si era rivolto al Vescovo per ottenere il permesso di trasferire, momentaneamente durante alcuni lavori, il titolo di chiesa parrocchiale da San Zenone a San Giuseppe. La lite nasce per i dubbi sull’intento di don Malatesta di procedere veramente con i lavori, sospettando che questi lavori fossero una scusa per riuscire ad occupare per sempre la chiesa dei Falegnami. Don Malatesta chiese di acquistarla ma ci furono problemi. Per rendere inagibile la chiesa e non permetterne l’acquisizione a don Malatesta, i falegnami aprirono un cantiere per migliorare, creare la cupola, stuccare tutta quanta la loro chiesa. E anche per dimostrare alla Sacra Congregazione, alla quale il parroco si era rivolto, quanta cura i falegnami avessero per la loro chiesa. Da questi opuscoletti apprendiamo che il Crocifisso ligneo, ora nella nostra chiesa, era considerato miracoloso ed era oggetto di devozione nel 1753.

Francesco Andreini inizia, nel febbraio 1751, la decorazione e affrescatura della Cupola. Ma il 12 novembre dello stesso anno muore. Lascerà il posto al fratello, Bonaventura, artista di più modesto pregio. L’ancona dell’altare maggiore viene, momentaneamente, dipinta sul muro a quadratura, recante nella cimasa mistilinea una rappresentazione allegorica della Fede a monocromo. L’ancona “finta” sul muro venne dipinta tra il 1755 e il ’74, prima dell’apertura nella nicchia per la statua.

Nel 1781 fu fatto l’altare maggiore in legno, maestoso, grazie alle premure del cappellano don Giovanni Golfarelli e venne posta in una nicchia la statua di San Giuseppe, commissionata dal medico Giuseppe Rosetti di Cesena, opera del celebre artista Francesco Calligari del 1774, scolaro dell’esimio Scanellari di Bologna, che benne benedetta dal Vescovo Francesco de’ conti Aguselli. Tale ancona, in legno dipinto a finti marmi, ora si trova nell’abside della chiesa di San Pietro in Cesena. La pala che vi era contenuta anticamente è conservata, invece, nella chiesa di Villachiaviche.

Le due campane di piccole dimensioni presenti nel piccolo campanile a torre furono portate a Villachiaviche da come ricordano testimoni oculari. Non sono riuscito a trovare né foto né iscrizioni descrittive. Pare siano state consegnate alla ditta, da aggiungere al bronzo per le 4 nuove campane nel 1992. Una perdita dolorosa, visto che probabilmente erano campane del ‘600.

Nel 1757 vengono fatti gli affreschi sulla cappella, ora distrutta, grazie all’opera di “questua” realizzata da Francesco, Alessandro e Marco Almerici. Furono commissionati a Bonaventura Andreini. Della cupola affrescata restano fotografie.

Nel mese di maggio del 1798 la chiesa viene spogliata, dalla furia napoleonica, dei suoi beni e dell’argenteria. I vasi sacri che abbiamo provenienti dalla vecchia chiesa, infatti, non sono di grande pregio e nessuno di questi è d’argento. La famiglia Albertini, grande benefattrice, si prodigò affinché questa chiesa non venisse chiusa, essendo San Giuseppe patrono di Cesena. Nel corso dell’ottocento la chiesa perde di importanza e la Confraternità inizia a disgregarsi.

Nel 1838 viene acquistato un organo dalla famosa ditta Filippo Tronci di Pistoia e eretta la cantoria sopra l’ingresso. Anche l’organo è conservato ora nella chiesa di Villachiaviche.

Ma la chiesa, in Corso Sozzi, resta di proprietà della Confraternita de’ Falegnami anche se non c’è nessun membro. Viene in mente al Vescovo Diocesano, mons. Augusto Gianfranceschi, che avrà sempre a cuore la parrocchia di Villachiaviche, di alienare la chiesa e la canonica per poter costruire altrove un’altra chiesa.  Nel 1959, per poter procedere alla vendita della chiesa, è stato necessario ricostituire la Confraternita composta da 5 membri guidati dalla presidenza del Sen. Giulio Farabegoli, con il forte impulso di don Marino Budellacci, che poi sarà il parroco fondatore. Infatti, col permesso delle Sante Congregazioni Vaticane la chiesa venne venduta all’adiacente Banca Popolare il 5 ottobre 1959, a condizione che il ricavato e lo stesso titolo fosse trasferito nella nuova chiesa di Villachiaviche.

La ditta Brandolini trasporta tutto il materiale interno della chiesa, e le grandi ancone, a Villachiaviche.

Possediamo alcune foto dell’interno dopo la spogliazione, prima della demolizione, e alcune foto esterne dove è visibile la facciata della chiesa e il portone d’ingresso.

In un recente interessante studio di Antonio Dal Muto, caricato su Youtube al titolo “Cesena sparita” è possibile vedere una ricostruzione, rilevata da fotografia, di come era la chiesa di San Giuseppe, demolita nel 1968.

San Giuseppe Corso Sozzi - interno
San Giuseppe Corso Sozzi - esterno

LA NUOVA CHIESA

La sera di sabato 26 novembre 1957 una processione aux flambeaux partì dalla chiesa di Sant’Egidio per raggiungere Villachiaviche. Era guidata dal vescovo mons. Gianfranceschi, accompagnato da don Marino Budelacci, e dal popolo festante, che si recava al centro di quella povera e misera borgata, all’estrema periferia nord della città, per benedire solennemente l’ex sala da ballo della zona trasformata in Oratorio e l’ex Circolo del Pci diventato Circolo Acli.

La progettazione del nuovo complesso parrocchiale fu affidata al giovane architetto cesenate Ilario Fioravanti ed è stata la sua prima opera importante. La sua esecuzione al grezzo fu affidata alla ditta edile Primo Brandolini, uomo probo e di grandi capacità imprenditoriali. Il 19 marzo 1960, alla presenza delle autorità e del popolo, c’è stata la cerimonia solenne della posa della prima pietra e il 19 marzo del 1961 la inaugurazione del complesso. Fioravanti ha voluto anche presentare la sua prima opera di scultore plasmando in cemento una bella statua di San Giuseppe lavoratore con tanto di grosso martello in mano, collocata nel sagrato della chiesa. Il Ministero dei Lavori Pubblici finanziava solo il grezzo e la parrocchia, in 30 anni ha pagato i debiti.

Cosi racconta Ilario Fioravanti, in un documento datato 2007, a proposito dell’impegno continuo per la progettazione dell’architettura religiosa. Molte furono le chiese realizzate, quella di Villa Chiaviche fu progettata nel 1959 e realizzata nel 1960/1961. Fioravanti ha confessato di essere orgoglioso delle sue opere: “nelle chiese c’è un rapporto misterioso fra la forma e la luce. La chiesa non la puoi fare se non hai uno spirito particolare (penso a Le Corbuiser e alla Chiesa di Ronchamp), bisogna credere e anche Le Corbusier credeva… Lui diceva di non credere, ma credeva perché per fare un’architettura così devi essere ispirato dal divino. È un rapporto misterioso, la luce non deve essere troppa, perché nella religione non si deve scoprire troppo, ma piuttosto vivere un’emozione: deve essere presente una sintesi tra luce e spazio. Quando si entra in una Chiesa si deve sentire che si passa da un luogo coperto dal cielo ad uno spazio chiuso”.

Fioravanti ha progettato una trentina di edifici religiosi, tra cui alcuni restauri, numerosi complessi parrocchiali, monasteri e case conventuali con annesse scuole, altari e arredi liturgici. È un percorso che attraversa senza interruzione tutta la sua attività professionale, a partire dal progetto di edificio per opere parrocchiali adiacente alla chiesa della Madonna delle Rose (1957, mai realizzato), alle chiese di Pioppa, Gualdo, Bagnarola, convento delle Benedettine di Cesena, fino all’assai impegnativo complesso parrocchiale di Santa Maria del Torrione a Ravenna. Ricordiamo anche la piccola chiesa, tempio dei caduti, della parrocchia di Sorbano realizzata nel 1983.

Il primo complesso parrocchiale fu appunto Villa Chiaviche. È pensato come spazio per la collettività, tanto nella disposizione planimetrica delle diverse parti (chiesa, canonica, oratorio, campanile), quanto nell’organizzazione degli ambienti per la liturgia. La sensibilità dell’architetto si è dimostrata nella distribuzione dei diversi volumi intorno alla piazza-sagrato con l’intento di rendere la comunità partecipe del significato simbolico della ritualità. Le definisce chiese “modestissime” ma capaci di far vivere emozioni profonde.

ALTRE OPERE D’ARTE DELLA CHIESA DEI FALEGNAMI ORA CONSERVATE A VILLACHIAVICHE

1) Dipinto ad Olio su tela, 1640-1650, cm. 336 x 220; ora appeso all’inizio della parete destra della navata entrando; opera di Giovan Battista Razzani, raffigura la Sacra Famiglia, denominata anche popolarmente “Madonna del Cucito” per questa particolarissima scena.

Il dipinto, concordemente riconosciuto dalla critica come opera del pittore cesenate Razzani, viene collocato cronologicamente intorno alla metà del '600. Originariamente era a forma di lunetta è stato riadattato a pala d'altare; l'intervento, che da fonti pare risalire nel XVIII secolo, è da attribuire al quadraturista Antonio Maria Colonnelli. L'aggiunta è di scarsa qualità e risale ai primi del XIX secolo, in seguito al recente restauro, avvenuto nel 1996 grazie al finanziamento della Cassa di Risparmio, la tela è stata montata su due telai distinti per rendere visibile la separazione dei due momenti.

2) Grande dipinto raffigurante la Sacra famiglia, prima metà sec. XVII; Barbiani Giovanni Battista; ambito ravennate, olio su tela, cm. 336 x 220;

Il dipinto è composto da due ritagli: la parte superiore con sfondo di architetture e grandi arcate e nicchie; la parte inferiore con scena frammentaria della Sacra Famiglia: a sinistra due angeli alati in piedi dai quali si allontana il bambino per raggiungere la Madre seduta a destra. Accanto a lei San Giuseppe in piedi. Secondo il Savini (1987) l'intervento è da collocarsi all'inizio del XVIII secolo per opera del quadraturista Antonio Maria Colonnelli; secondo Faranda (1998) si tratta di un intervento più tardo, risalente ai primi del XIX secolo e di qualità piuttosto modesta. In seguito al restauro del 1996  le due tele sono state montate su due telai distinti per rendere visibile la separazione dei due momenti. L'attribuzione dell'opera al pittore Giovan Battista Barbiani pur non essendo stata recepita nella recente monografia dedicata alla famiglia dei pittori ravennati (Ceroni - Viroli, 1994), risulta essere ancora pienamente condivisibile. Nel 1996 la Cassa di Risparmio di Cesena ha compiuto una pulitura e aggiustamento della tela.

3) In alto, alla vetta dell’ancona dell’altare di destra, Mancini Francesco, sec. XVIII, Dipinto San Pietro Martire; ambito marchigiano; 1700 – 1710 circa, cm 80 x 80

Il Santo è a mezzo busto di tre quarti, rivolto a sinistra, avvolto in abiti domenicani; sul capo una grossa lama di coltello. In alto a sinistra, una testina di angelo. L'assegnazione del dipinto al Mancini si rivela attendibile, anche se manca qualsiasi riferimento alla esecuzione del dipinto sottostante da parte dello stesso pittore. Il Mancini fu attivo in Cesena oltre che a Forlì e questa piccola tela mostra non pochi dati tipici della pittura marchigiana in fase cignanesca. Mancini nacque a Sant’Angelo in Vado nel 1694 e morì a Roma nel 1758.

Mi sono già messo in opera, comunicando alla Curia, per provvedere al restauro di questa tela, purtroppo annerita dalle emissioni dei fumi del gasolio del riscaldamento, come è successo ai muri: sono tutti anneriti dal fumo.

4) Mainardi Andrea, 1689, Dipinto Madonna con Gesù Bambino e Santi; cm 244 x 168.

Nel dipinto la Madonna è al centro a mezz'aria seduta su nubi; a sinistra, accanto, è sant'Anna in atto di porgere il Bimbo; alle sue spalle si scorge il busto di San Francesco in atto orante; a destra poco discosto dalla Madonna è San Giovanni gesticolante avvolto in veste rossa e manto azzurro; in primo piano un angelo recante un grosso libro aperto; nello sfondo testine alate di cherubini.

La tela attribuita da tutti i cronisti locali ad Andrea Mainardi costituisce, nell'ambito dell'opera dell'artista, un'importante e rara "riprova di un nuovo orientamento" direzionato alla ripresa dei moduli compositivi del tardo Cignani. L'artista maturò nel fervido clima dei Serra e dei Savolini. L'opera rivela indubbie qualità nell'artista e, soprattutto, costituisce elemento di raffronto per il riferimento al Mainardi di alcune altre tele esistenti a Cesena, nella chiesa di Sant'Agostino, nella chiesa di San Domenico, nella chiesa dei Servi.

Mainardi è l’ultimo rappresentante di una antica famiglia originaria di Susinana, nell’imolese: questa vantava condottieri che tiranneggiarono vari luoghi di Romagna, fra cui anche Cesena.  Andrea continua nell’attività militare della famiglia, favorito dal romano Vincenzo Orsini, Vescovo di Cesena dal 1680 al 16868, eletto Papa nel 1724 col nome di Benedetto XIII, viene nominato primo ufficiale della piazza di Senigallia. La sua vita è ricca di interessi vari e la sua attività pittorica è considerata in vario modo e con valutazioni opposte, genericamente posivite, favorevoli per i ritratti, o anche negative. Mainardi dipinge molto grazie alla protezione del Vescovo Orsini.

5) Ancona di sinistra in legno dorato, dove ora è l’altare del Sacro Cuore.

Venne edificata nel 1747, formata a due colonne circolari scannellate con fascia inferiore intagliata a motivi vegetali intrecciati; contorno alla centina centrale con espansioni fogliacee, capitelli corinzi; il frontone è ornato da fascia di steli vegetali attorcigliati. Il timpano, è spezzato con greca sagomata sottostante e pinnacoli superiormente; riquadro centrale contenente dipinto; cimasetta con testa di cherubino.

6) Madonna con Bambino – altare del Crocifisso

In alto, nella cimasa dell’ancona di sinistra, si trova una pittura cm 80 x 80, raffigurante la Madonna con Bambino. Maria è frontale a mezzo busto; il Bambino è disteso davanti a lei dormiente in parte avvolto in un velo bianco tenuto sollevato dalla madre. Dietro a sinistra si scorge appena la testa di San Giuseppe. Il dipinto rivela modi tipici dell’ambiente pittorico di metà settecento; in particolare i riferimenti a Bonaventura Andreini sembrano evidenti.

Mi sono già messo in opera, comunicando alla Curia, per provvedere al restauro di questa tela, purtroppo annerita dalle emissioni dei fumi del gasolio del riscaldamento, come è successo ai muri: sono tutti anneriti dal fumo.

7) Tela con cimasa arrotondata raffigurante: Maria e le pie donne che vanno al Sepolcro

Questa tela era collocata davanti al crocifisso miracoloso e, per mezzo di carrucole ancora presenti, veniva fatta scendere in modo da permettere la visione del retrostante crocifisso miracoloso, inserito in una nicchia rettangolare.

Questo quadro fu fatto fare dal sig. canonico Gioacchino Sassi al pittor Antonio Aldini di Bologna, grande benefattore dei poveri, nel 1747.

8) Sull’altare dell’ancona di sinistra si trova un Tabernacolo, in legno, del 1747: è a forma di tempietto con spigoli anteriori smussati; su zoccoletto con lesene laterali piatte; al centro il grande sportello centrale è decorato con agnello su base sagomata a bassorilievo; cornice superiore aggettante con cupolotto a base rettangolare e costoloni a rilievo. Completamente dipinto a finti marmi policromi.

9) dall’oratorio dei Falegnami si conserva anche tre serie di vari candelieri in legno dorato completi della loro croce su basamento: N. 4 grandi, n. 6 medi, n. 4 piccoli. A tre facce con piede troncopiramidale su peduncoli a riccio e spigoli smussati e sagomati; nodo con espansioni e volute, stelo terminante in gocciolatoio a bordo esagonale ornato da fogliette. Doratura nella faccia anteriore.

10) Altare di SANTA ANNA

Altare di Sant'Anna, ubicato sulla parete di destra.

Altare ligneo marmorizzato nei toni verde e grigio. Nel 1689 i nobili fratelli cesenati Albertini commissionarono la costruzione di un altare ligneo dedicato a Sant'Anna mentre l'ancona era destinata a incorniciare il dipinto raffigurante la Santa e in alto una testa di Giovanni Battista, viene fatta costruire da Lelio Lelli nello stesso anno.

11) Diversi anni fa è stato riportato al culto a spese del sottoscritto il singolare quadro di modeste dimensioni rappresentante “Il ritrovamento di Gesù al tempio”, opera dei primi ‘700 attribuita alla bottega dei Barbiani di Ravenna, dove si vede il cammino di Gesù nel ritorno a casa: tenuto per mano da una parte da Maria, dall’altra da Giuseppe. Gesù tiene nelle mani un globo terrestre.

12) Sotto alla tela “il ritrovamento di Gesù al tempio”, nel 2013 è venuto alla luce un altro dipinto del ‘700, con cornice disegnata sulla tela, che rappresenta lo stemma della Confraternita dei Falegnami, con il nardo di San Giuseppe e gli strumenti del falegname. Ora, pulito e sistemato, è collocato in chiesa vicino alla porta della sacrestia.

13) Sulla parete destra è collocata la bellissima statua di San Giuseppe e Bambino, opera di Calligari Francesco; 1774, altezza cm. 202, larghezza 91 cm, profondità 81 cm.

La statua di San Giuseppe con Gesù Bambino appoggiata su base lignea marmorizzata con cartigli dorati. Era stata realizzata per l'altare maggiore dell'oratorio di San Giuseppe dei Falegnami (che ora si trova nella chiesa di San Pietro di Cesena) e dal 1961 è nella nostra chiesa di Villachiaviche. Sotto la base della statua la firma: “Di Francesco Calligari su commissione del medico cesenate Giuseppe Rosetti 1774” come è emerso sotto la base della statua.

La statua si caratterizza molto per la dolcezza degli sguardi e del rapporto tra Giuseppe e Gesù, raffigurato in atteggiamenti di grande paternità, non l’immagine consueta di un padre un po’ freddo.

14) sopra un piedistallo ligneo voluto da me nel 2013, per avvicinarla e rendere più comoda la venerazione ai fedeli, si trova una bellissima Statua della Beata Vergine del Carmine, scolpita nel 1929 nella Bottega di Purger a Ortisei e che sostituì la precedente statua lavorata in Lucca nel 1746 “riposta in questa chiesa con licenza dei Signori Conti Roverella nell’anno 1835 che era del Convento dei soppressi Padri Carmelitani”. Gli scapolari della prima statua, però, vennero conservati, e ora campeggiano nella statua del 1929. Nella piccola vetrina – museo, donata dal parroco nel 2015, si conserva la vecchia corona in legno della Madonna, sostituita da una più recente in ottone dorato con brillanti.

15) sulla cantoria si trova un grandioso organo a canne, fabbricato dalla famosa ditta Filippo Tronci da Pistoia nel 1838. È completo delle varie parti sia meccaniche che del mobile. Il mobile ha forma rettangolare regolare con canne a vista attraverso elemento con canne a vista attraverso elemento traforato a liste vegetali; ci sono lesene laterali. Il mobile è rifinito a tinte grigie e nocciole. La storia dell’arte organaria di Pistoia raggiunge proprio il suo culmine in quegli anni con le fabbriche Agati e Tronci, fuse insieme nel 1883 sotto la direzione dello stesso, ormai anziano, Filippo Tronci. Venne restaurato grazie al Contributo di 70 milioni dalla Cassa di Risparmio nel 1992, i restanti 25 milioni vennero dall’amministrazione parrocchiale. Il restauro venne autorizzato e controllato dalla Soprintendenza di Bologna e venne affidato alla famosa ditta organaria Tamburini di Crema, che nel 1914 aveva costruito l’organo di S. Maria del Monte, nel 1964 l’organo del Santuario di Longiano, nel 1980 l’organo della Chiesa di Martorano.

16) da san Giuseppe proviene un Ostensorio, sec. XVIII, ambito romagnolo, di autore ignoto, misurante altezza 43,7 x 13; metallo sbalzato, cesellato, argentato e dorato. Pulito e restaurato a spese del parroco nel 2014. Il vetro, originale, è rotto.

17) Stupendo e maestoso Tronetto per esposizione eucaristica, sec. XVIII, ambito romagnolo autore ignoto, cm 142.0x68.0x40.0 (HxLxP), legno scolpito, intagliato, dorato. La parte alta è particolarmente lavorata, con due angioletti appesi.

18) Statua a misure naturali del Gesù Bambino, in gesso, di fattura comune. La particolarità è la scritta, che vi si trova sul retro, a pastello, evidentemente posta dalla famiglia che lo ha donato: “Gesù Bambino proteggi i piccoli della mia casa, 13 dicembre 1938”.

19) Croce in legno intagliato, dorato, con corpo di Gesù in bronzo fuso. Cm. 68.0x46.0x3.0 (HxLxP). Fa parte del servizio dei candelieri.

20) Turibolo con navicella, sec. XVIII, rame sbalzato, cesellato, argentato. Cm 32 x 10. Sulla parte inferiore del coperchio si trova, in tre appositi spazi diametralmente opposti, la scritta DONO IPPOLITO ROVERELLA. Faceva parte del corredo dell’altare della famiglia Roverella.

21) Leggio da altare, datato 1840, ambito romagnolo, porta la scritta a penna: “Da S. Anna, 1840”; misura cm. 39.0x25.0x6.0 (HxLxP). Lo stile ottocentesco presenta opere in stile più asciutto rispetto al secolo precedente.

22) Dalla vecchia chiesa, sono state recuperate anche 2 lastre in rame con incisioni per la riproduzione dei santini. Una raffigura di San Giuseppe con bambino, misurante 12 x 16 cm. La seconda, più grande (cm 20,5 x 29), raffigura la Madonna del Carmine. Dietro, inciso con punta ferrea successivamente, sta scritto “D. GIOACCHINO SASSI, 1829”. Nella custodia in legno è scritto: don Luigi Valli, sacerdote, 1840. Nell’anno 2013 il parroco don Bosi le ha portate a Bologna, in una stamperia specializzata e ha riprodotto le stampe e santini per la venerazione dei fedeli.

24) Sull’altar maggiore si trova il pregevolissimo Leggio da altare, sec. XVIII, Ambito romagnolo; realizzato in legno intagliato, dipinto, laccato; legno dorato. Al centro, in basso, si trova una bellissima immagine di San Giuseppe entro un medaglione.

25) Croce con piedistallo, in completo coi candelabri, sec. XVIII, seconda metà; ambito romagnolo; lavorato in legno intagliato e laccato, bronzo fuso. cm 45.0x31.5 (HxL)

26) Da San Giuseppe proviene una splendida seppur di modeste dimensioni, Pisside, autore ignoto, sec. XVI, metallo sbalzato, inciso, dorato; Misure cm 18.0x6.0 (HxD)

27) La chiesa vecchia aveva un Pulpito di legno, datato 1896, utilizzato ora come base di sostegno alla statua di San Giuseppe. Realizzato in ambito romagnolo, è in legno di noce intagliato, misurante cm 131 x 91 x 57 (HxLxP). Su di esso era applicata una mano lignea piuttosto robusta (conservata in soffitta) che reggeva il Crocifisso da pulpito, ora conservato in Cripta.

28) Il Crocefisso applicato al pulpito, della prima metà del ‘700, è scolpito in legno e dipinto risultante molto scuro. Misura cm 110.5 x 45.0 x 3.0 (HxLxP). È conservato in cripta.

29)  Via Crucis, una ad esempio, del Duprè realizzate nella prima metà dell’ottocento, sormontate da angioletti in gesso.

30) Vari calici, del ‘600, ‘700 e ‘800, in metallo argentato, provenienti dalla chiesa di San Giuseppe de’ Falegnami e conservati ora a Villachiaviche.

31) piccolo tabernacolo in legno dorato, inserito in gradino ligneo lavorato a dentelli, pure dorati, conservato ora e un uso nella Cripta.

32) Grande altare a sarcofago in legno scuro, con piedi da leone, tipico del 1700, che era l’altare maggiore della chiesa di San Giuseppe e ora si trova a Villachiaviche.

33) per ultimo, a conclusione, vogliamo ricordare il preziosissimo Crocifisso Miracoloso, del ‘500, in legno scolpito, opera preziosa dal punto di vista artistico e spirituale, lavorato da un francese a spese di Sebastiano Brazzi, patrizio della città di Cesena, conservato nell’altare di sinistra della chiesa dei Falegnami.

Nel 1962, su idea e a spese del Vescovo Mons. Gianfranceschi, viene decorata la parte absidale e le due pareti laterali di congiunzione tra presbiterio e assemblea dal giovane Mirco Casaril, nato a Venezia il 2 febbraio 1931 e morto, sempre a Venezia, il 27 novembre 1993. Rappresentò il ciclo della vita di San Giuseppe con la tecnica dei graffiti.

Dal 1989 al 1991 viene inserito il ciclo delle vetrate nel corpo della chiesa, completato nel 2011 con l’aggiunta delle vetrate nelle finestrelle del presbiterio. Sono realizzate dalla ditta Vetrate Artistiche Fiorentine, di Sesto Fiorentino, e vengono donate da benefattori in memoria dei loro defunti. In ogni vetrata è leggibile il nome del benefattore.

Raccontano tutta la storia della salvezza, iniziando dal peccato di Adamo ed Eva fino alla chiesa di oggi.
Nel 2014, su incarico del nuovo parroco, un giovane parrocchiano, Massimiliano Cecchini, pittura la “Madonna de Rosario” in ricordo del papà defunto.

All’esterno della chiesa si trovano:

Bassorilievi in cemento del prof. Navacchia, del 1960, della vita di San Giuseppe. Secondo i progetti, ne sono stati realizzati solo quelli collocati in alto. Quelli che erano collocati sopra la porta centrale, per una questione tra il parroco e l’architetto, non vennero mai montati e si trovano dagli eredi dell’architetto Fioravanti.

Le formelle delle quattro stagioni, in terra cotta oramai purtroppo lise dal tempo, create dal prof. Malmerendi nel 1955.

Ceramiche di Bartolomeo Cornacchia da Bagnacavallo del 1985.

Dalla vecchia chiesa vennero portati a Villachiaviche anche altri tre quadri, che poi nel 1975 per ordine di mons. Gianfranceschi vennero asportati e si trovano, come citato all’inizio, due a San Rocco e uno in Episcopio.

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La chiesa di San Giuseppe? Qualche anno fa non era a Villa Chiaviche ma in Corso Sozzi
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