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TEATRO

La leggenda del serpente bianco, affascinante spettacolo dalla Cina al “Bonci” di Cesena

Lo spettacolo è andato in scena nella serata di ieri, domenica 6 gennaio

La leggenda del serpente bianco, affascinante spettacolo dalla Cina al “Bonci” di Cesena

Quando si intraprende un cammino inedito, un percorso sconosciuto, il nostro primo sentimento è lo straniamento. Rimaniamo perplessi, confrontando le nostre aspettative con la realtà. Lo straniamento è la prima risposta all'allestimento di un'opera cinese, un capolavoro dell'Opera di Pechino. “La leggenda del serpente bianco”, che deriva dal folklore cinese, ha rappresentato il primo esempio di opera cinese giunta in Occidente nel 1955, quando il regista Mei Lanfang (1894 – 1961) portò la sua versione del dramma in Unione Sovietica prima e in Europa poi.

L’opera descrive l’incontro tra la Dama Bianca, un’incantevole donna sotto le cui sembianze si nasconde lo spirito del Serpente Bianco, e Xu Xian, un giovane uomo. I due si innamorano e subito si sposano. Il monaco Fahai, però, invidioso del loro amore e convinto che un essere umano non possa innamorarsi di uno spirito, escogita numerose trovate per metterli alla prova e ostacolarli, col fermo intento di porre fine alla loro unione. In conclusione, la Dama Bianca confesserà la verità a Xu Xian ed entrambi riusciranno a esprimere i loro sentimenti più autentici, rafforzando il loro legame e trovando un modo per restare insieme malgrado le difficoltà.

L'opera di Pechino, di cui la versione di Mei Lanfang rappresenta l'ultima incarnazione, è un'unione di tutte le forme artistiche in un unico corpo. La danza, il canto, la recitazione, le azioni acrobatiche, la musica: è tutto insieme, e si può osservare l'interprete che ha cantato per dieci minuti a gola spiegata iniziare una serie di complicate mosse di danza acrobatica da lasciare senza fiato lo spettatore. Passato il primo momento di straniamento, ci si rende conto che la profonda differenza fra il teatro orientale e quello occidentale è il simbolismo. Non si cerca, per nulla, di imitare la realtà. Se Xu Xian, la Dama Bianca, sua sorella Blu salgono su una barca per attraversare il lago, basterà che entri in scena un barcaiolo col suo remo e le movenze dei quattro attori ci faranno capire che stanno attraversando il lago. Durante il grande combattimento della seconda parte (lo ripetiamo, a scanso di equivoci: una scena lunghissima che sembra durare pochi minuti per la quantità e la qualità delle coreografie) non ci saranno veri colpi fra la Dama Bianca, sua sorella Blu e i monaci guerrieri che vogliono sconfiggerle. I colpi ci saranno, ma saranno simbolici, quasi ieratici. Un punto di contatto fra Oriente e Occidente (e si comprende come il teatro orientale ebbe effetti soprattutto sugli allestimenti di teatro classico) è l'uso della maschera. Nel teatro greco e latino la maschera copriva il volto dell'interprete, facilitando l'identificazione del personaggio da parte dello spettatore e permettendo a un solo attore di impersonare vari ruoli; nel teatro cinese non ci sono le stesse maschere, ma il trucco utilizzato, così forte e delineato ha, approssimativamente, lo stesso effetto, l'identificazione è immediata e l'attenzione, più che sulla fisionomia dell'attore, può concentrarsi sulle sue movenze. Forse era lo stesso nell'antica Grecia: di sicuro raramente si sono visti gesti più eleganti, raffinati, perfettamente esatti nella capacità degli interpreti di misurare le forze. Un sovrano ordine, un autocontrollo pressoché assoluto: solo così si riesce a vincere la propria fisicità, o, meglio, a incanalarla in modo efficace e suggestivo. La sera di sabato (lo spettacolo viene replicato la sera di domenica 6) il teatro “Bonci” era pieno, e il pubblico ha tributato entusiasti applausi ai numerosi e validissimi interpreti. Più che giustamente.

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