Cesena
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Alma mater studiorum

Università romagnola: oggi realtà, 30 anni fa utopia

Dall’antico Studio del 1500 al Campus inaugurato il 19 ottobre scorso. Una lunga storia che ha visto in prima linea noti personaggi e istituzioni del territorio.

Università romagnola: oggi realtà, 30 anni fa utopia

Laurearsi a Cesena e in Romagna, oggi, è una cosa normale. I corsi di laurea del Polo romagnolo dell’Università di Bologna contano decine di migliaia di studenti immatricolati, che danno per scontata l’opportunità di completare qui il proprio percorso di studi. Eppure, fino a 30 anni fa, uno scenario simile sarebbe stato fantascienza. Ci sono voluti decenni di proposte, lotte politiche, convegni e pressioni continue per arrivare a portare i corsi di laurea dell’Unibo sul territorio romagnolo.

L’UNIVERSITÀ ANTICA

E dire che Cesena, anticamente, la sua Università l’aveva avuta. Dagli inizi del 1500 fino alle soglie dell’800, quando venne soppresso dall’invasore napoleonico, in città fu presente uno Studio (Unica studii generalis universitas della Romagna) con cattedre di diritto canonico, diritto civile, teologia, filosofia, logica e medicina.

A METÀ ’900 SI RIAPRE IL DIBATTITO

A un secolo e mezzo dalla chiusura dello Studio, di Università a Cesena si tornò a parlare alla fine degli anni ’50 del ‘900, con l’aspirazione del Consiglio comunale cesenate (in special modo del Dc Giovanni Ghirotti e del Pri Tonino Manuzzi) del ritorno di un insediamento universitario. Il dibattito si ampliò negli anni ’60 e sembrava essersi avviato ad una soluzione all’inizio degli anni ’70, quando la Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna (presieduta da Gabriele Goidanich) propose una serie di qualificati decentramenti. La proposta, però, venne stroncata sul nascere dal voto contrario del Consiglio comunale, con la maggioranza di sinistra che la definì “ipotesi dequalificata” bollando il legame tra università e territorio come “determinismo meccanicistico”. Un massimalismo, questo, che ritardò l’insediamento di quasi vent’anni.

L’INTERESSAMENTO DI GIOBBE GENTILI

Il problema venne preso a cuore dalla Democrazia Cristiana a tutti i livelli, anche in Regione dove l’ostilità all’insediamento romagnolo era forte. Il Comitato provinciale di Forlì della Dc, nel dicembre del 1977, pubblicò lo studio “Per un insediamento universitario in Romagna. Distribuzione degli studenti emiliani e romagnoli nelle sedi universitarie della Regione”. Nella ricerca, curata dal professor Giobbe Gentili (al tempo capogruppo Dc in Consiglio comunale a Cesena), si legge come oltre 11mila studenti iscritti alle facoltà bolognesi provenissero dalle province di Ravenna e Forlì (comprendente, al tempo, anche il riminese). Incrociando i flussi degli studenti dei diversi territori, il rapporto concludeva stimando un potenziale per l’università romagnola compreso tra i 14mila e i 22mila studenti, ripartiti in sette Facoltà (Matematica, Ingegneria, Giurisprudenza, Economia, Medicina, Lingue, Lettere).

ROTARY CLUB DECISIVO

Nel dicembre 1982 il Rotary club di Cesena, presieduto da Remo Roncuzzi, tenne un importante convegno su “L’Università in Romagna”. I tempi apparivano maturi dato che, pochi mesi prima, in Parlamento era stata votata una legge che parlava di una “migliore articolazione universitaria” anche in Emilia-Romagna. Introdotto da Giobbe Gentili (divenuto, nel frattempo, consigliere regionale), il convegno vide una parata di professori universitari, presidi di facoltà, direttori di istituti e la presenza del Magnifico Rettore Carlo Rizzoli. Non era il primo convegno sul tema organizzato dal club service (Cesena ne aveva organizzato un altro nel 1979, San Marino nel 1976) ma risultò decisivo nel far diventare ineludibile la questione dell’insediamento in Romagna. Al tempo si ragionava ancora di una possibile università romagnola autonoma, anche se il titolo stesso del convegno lasciava aperte tutte le possibilità. E proprio in quella sede emerse come ormai la strada obbligata fosse un decentramento dall’Università di Bologna (e non da Ferrara o Modena), con un’eventuale autonomia da ricercare solo a polo consolidato, in una logica policentrica e graduale, tenendo assieme ricerca e didattica con il sostegno del territorio.

L’INSEDIAMENTO IN ROMAGNA

Negli anni successivi, molto lentamente, avvenne proprio questo. Tra l’ostilità della Regione, nel 1984, prese concretezza l’ipotesi di un corso di informatica a Cesena grazie a contatti diretti tra Giobbe Gentili e il preside della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali Sergio Focardi (uno dei più tenaci fautori del decentramento). Mentre gli esponenti del Pci locale, a partire da Roberto Casalini, cominciarono a contestare i compagni di partito del nord, da sempre ostili a insediamenti in Romagna. A livello accademico le cose cambiarono poi in meglio, per la Romagna, con l’elezione a Magnifico Rettore di Bologna di Fabio Roversi Monaco (1985).

1989: IL PRIMO CORSO DI LAUREA A CESENA

Il primo corso di laurea a Cesena sarà proprio Scienze dell’informazione, partito nel novembre 1989. A determinare l’avvio dell’Università in Romagna fu comunque un fatto tragico, avvenuto nell’aprile dell’anno precedente: l’assassinio del senatore Roberto Ruffilli, nella sua casa di Forlì, da parte delle Brigate Rosse. Tra le carte del politico Dc si trovò un appunto in cui Ruffilli manifestava la volontà di lasciare i suoi libri alla biblioteca di Forlì e, quando costituita, alla sede di Forlì dell’Università. Questo fatto scosse la politica nazionale portando all’avvio dei primi decentramenti, poi inseriti nella legge 245 dell’agosto 1990 (anticipata da Roversi Monaco con l’avvio dei corsi a Cesena e Forlì).

NUOVI CORSI E INSEDIAMENTI

Le condizioni per un insediamento erano state create dalla nascita della società Serinar, decisa nel 1986 dai Comuni di Cesena e Forlì, dalle Casse di risparmio delle due città, dalla Camera di Commercio e dall’amministrazione provinciale per attuare nel concreto il decentramento. Cesena si mosse senza indugi, con la locale Carisp che versò per prima i suoi 200 milioni di lire di capitale sociale in Serinar (equivalenti, tenendo conto dell’inflazione, a 240mila euro del 2015) ed il Comune che mise a disposizione palazzo Mazzini-Marinelli (in via Sacchi). Forlì invece prese tempo e solo due anni dopo Serinar poté vedere la luce, sotto la presidenza del senatore forlivese Leonardo Melandri (Dc), per poi decollare nel giro di poco (il capitale sociale passò in un solo anno da 1,2 a 6 miliardi di lire).

Dopo l’avvio di Informatica, a Cesena arrivarono i corsi di Psicologia nel 1990 (con sede all’ex Arrigoni vecchia, zona stazione) mentre nel 1992 quelli di Scienze e Tecnologie Alimentari (in quello che oggi è il campus di Villa Almerici) e i diplomi universitari di Ingegneria (telecomunicazioni, informatica e automatica, elettronica) in via Rasi e Spinelli. I diplomi universitari (al tempo chiamati “mini lauree”) equivalgono alle attuali lauree di primo livello.

Solo dal 1994 l’Università di Bologna, prima del tutto assente sul piano amministrativo, cominciò a sostenere economicamente gli insediamenti romagnoli. Nel 1996 Psicologia lasciò la Facoltà di Magistero, diventando la prima Facoltà autonoma dell’Università di Bologna con sede in Romagna, mentre l’anno successivo Ingegneria si arricchì del diploma in ingegneria biomedica (palazzina ex Zuccherificio, sulla via Emilia) e di tecnico in edilizia. Nel 1999 a Cesena arrivò la Facoltà di Architettura, corso di studi mai tenuto in precedenza dall’Università di Bologna, mentre tre anni più tardi Ingegneria diventò autonoma guadagnando lo status di “Seconda facoltà”.

Con il successo degli insediamenti, al superamento dei cinquemila studenti universitari in città, si pose il problema degli spazi: frazionati, insufficienti e ai limiti del decoroso (si pensi alle sedi nella zona industriale delle Vigne). L’idea fu quella di concentrare le facoltà all’ex Zuccherificio, nell’area progettata da Vittorio Gregotti nel 1989 (su impulso della Carisp) e beneficiaria di contributi pubblici a seguito di un bando nazionale del ’94. Già nella fase di costruzione del quartiere (estate 2001) l’Amministrazione comunale di allora parlò ai giornalisti, in visita al cantiere, di “piazza universitaria” riferendosi a piazza Sciascia. In realtà, sarebbe passato ancora molto tempo prima di riuscire a portare in zona il Campus, tra ritardi burocratici, cambi di normativa, disinteresse di un paio Rettori, problemi delle ditte incaricate della costruzione.

UN FUTURO TUTTO DA SCRIVERE

Ora all’appello mancano solo la nuova sede di Psicologia (6mila metri quadrati), lo studentato e altri servizi comuni. Se tutto procederà senza intoppi la seconda parte del campus sarà pronta nel 2022. Ma questa è già cronaca dei nostri giorni. Il futuro, tutto da scrivere, spetta agli studenti che si ritrovano a vivere e studiare giorno per giorno in uno scenario che, appena trent’anni fa, sarebbe stato ai limiti dell’utopia.

Michelangelo Bucci

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