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Funerali di Stato per Desmond Tutu: “piccolo di statura, è stato un gigante” per la difesa dei diritti umani nel mondo

La sua morte ha innescato un’ondata di tributi da tutto il mondo

Il primo giorno dell'anno il Sudafrica ha dato il suo ultimo saluto all’arcivescovo Desmond Tutu, eroe nazionale dell’anti-apartheid morto a 90 anni lo scorso 26 dicembre. Il funerale si è svolto nella St George’s Cathedral, a Cape Town, dove Tutu officiava quando l’apartheid era ancora in vigore in Sudafrica e dove proprio da quel pulpito, ha denunciato per anni il regime della minoranza bianca.

La sua morte ha innescato un’ondata di tributi da tutto il mondo. A dare l’ultimo saluto al leader anglicano, nella cattedrale, c’erano il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa che ha tenuto l’elogio funebre, l’ex presidente Thabo Mbeki e sua moglie Zanele, il sindaco di Cape Town Gerdin Hill-Lewis, autorità pubbliche e religiose. La vedova di Tutu, Nomalizo Leah, conosciuta come “Mama Leah”, sedeva su una sedia a rotelle in prima fila, avvolta in una sciarpa viola, il colore degli abiti clericali di suo marito. Tutu ha lasciato disposizioni perché la cerimonia fosse semplice, la bara – in legno chiaro – meno costosa possibile e donazioni in beneficenza.

Il sermone principale è stato pronunciato dal vescovo Michael Nuttall, che ha servito come vice di Tutu per molti anni. “Piccolo di statura fisica – ha detto - era un gigante tra noi moralmente e spiritualmente. La sua fede era autentica, non contraffatta o timida. L’ha vissuta, anche a caro prezzo, con un amore inclusivo e totalizzante. Il suo amico, Nelson Mandela, lo ha espresso perfettamente quando ha detto: ‘A volte stridente, spesso tenero, mai impaurito e raramente senza umorismo, la voce di Desmond Tutu sarà sempre la voce di chi non ha voce’”.

Il vescovo Nuttall ha ricordato i tempi della sua collaborazione con l’arcivescovo Tutu, “in un momento davvero critico nella vita del nostro paese dal 1989 al 1996, lui come arcivescovo di Cape Town e io come suo vice”. “La nostra partnership ha toccato una corda profonda nel cuore e nella mente di molte persone: un dinamico leader nero e il suo vice bianco negli ultimi anni dell’apartheid; e presto, i cieli non sono crollati. Siamo stati un assaggio, se volete, di quello che potrebbe esserci nella nostra nazione imprevedibile e divisa”.

Nel suo elogio, il presidente sudafricano Ramaphosa ha parlato dell’impatto che l’arcivescovo Tutu ha avuto nella storia non solo del suo paese ma per la battaglia mondiale a sostegno dei diritti umani. “Il nostro defunto padre è stato un combattente nella lotta per la libertà, per la giustizia, per l’uguaglianza e per la pace, non solo in Sudafrica, il suo paese natale, ma anche in tutto il mondo”. Nel ripercorrere la ricchissima vita di Tutu, il presidente sceglie un episodio: “c’è la famosa immagine del nostro arcivescovo scattata nel 1996 durante le udienze della Commissione verità e riconciliazione: il capo chino sulle braccia conserte, le spalle appesantite dalla profonda tragedia e dall’indicibile crudeltà del crimine dell’apartheid. La Trc aveva appena ascoltato la straziante testimonianza di un veterano attivista Singqokwana Malgas su come era stato torturato dalla polizia di sicurezza, così brutalmente da costringerlo su una sedia a rotelle. Sopraffatto dall’emozione per ciò che aveva sentito, l’arcivescovo Tutu lasciò cadere la testa tra le mani e pianse. Insieme, queste fotografie parlano non solo della forza delle sue convinzioni, ma di quanto profondamente sentisse l’angoscia e la sofferenza inflitte agli altri dall’ingiustizia e dall’intolleranza”.

Fonte: Sir
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