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la richiesta: ESPULSIONE DEL PATRIARCATO DI MOSCA DAL WCC

Parla il reverendo Sauca, “Dio in guerra è dalla parte di chi soffre”

Le dichiarazioni del Patriarca di Mosca Kirill a sostegno del conflitto militare in corso in Ucraina e a favore del presidente russo Putin stanno provocando nel mondo ecumenico un vero e proprio scossone tanto da spingere molti a chiedere al Consiglio mondiale delle Chiese (Wcc) di "espellere" il Patriarcato di Mosca. Il Sir ha girato la domanda direttamente al segretario generale ad interim, il reverendo Ioan Sauca

Ucraina, 10 aprile 2022: saccheggio e distruzione nel seminario cattolico di Vorzel a Kiev. Auto rotta. Foto Diocesi di Kiev

Continuano le dichiarazioni del Patriarca di Mosca Kirill a favore della guerra in Ucraina e a sostegno del presidente russo Vladimir Putin. L’ultima presa di posizione è un invito a combattere i “nemici interni ed esterni di Mosca”. “In questo periodo difficile per la nostra patria, possa il Signore aiutare ognuno di noi a unirci, anche attorno al potere”, ha affermato. “È così che emergerà la vera solidarietà nel nostro popolo, così come la capacità di respingere i nemici esterni e interni e di costruire una vita con più bene, verità e amore”. Non è la prima volta che il Patriarca di Mosca sostiene i propositi militari della Russia. Lo ha fatto fin dall’inizio del conflitto in Ucraina. Sono dichiarazioni che hanno provocato nel mondo ecumenico un vero e proprio scossone tanto da spingere molti a chiedere al Consiglio mondiale delle Chiese (Wcc) di “espellere” il Patriarcato di Mosca. Il Sir ha girato la domanda direttamente al segretario generale ad interim dell’organismo ecumenico, il reverendo Ioan Sauca, della Chiesa ortodossa di Romania.

È possibile che il Wcc prenda questa decisione?

“La decisione di sospendere una Chiesa membro dal Wcc non è nell’autorità del segretario generale ma del Comitato Centrale, il nostro organo di governo. La Costituzione del Wcc stabilisce chiaramente le condizioni per una sospensione nella Regola I,6: “Il Comitato Centrale può sospendere l’appartenenza di una chiesa: su richiesta della chiesa; perché il fondamento o i criteri teologici per l’appartenenza non sono stati mantenuti da quella chiesa o; perché la chiesa ha ostinatamente trascurato le sue responsabilità di appartenenza. Tale decisione viene presa dal Comitato Centrale del Wcc solo dopo un serio discernimento, audizioni, visite e dialoghi con le chiese interessate e dibattiti.

Ci sono stati nel passato casi di sospensione o esclusione dal Wcc?

Sì, il Wcc si è confrontato con casi simili in passato. Il più noto è il caso della Chiesa riformata olandese in Sud Africa che sostenne, anche teologicamente, l’apartheid. Ciò ha creato forti dibattiti e condanne da parte di altre chiese membri del Wcc. Alla fine, è stata quella chiesa ad “auto-escludersi” dal Wcc perché sentiva di non potervi più appartenere. Non è stato quindi il Wcc a sospenderla o escluderla. Tuttavia, nel frattempo, è stata riammessa. Altri casi, molto più vicini ai nostri tempi, si sono verificati nell’Assemblea di Canberra nel 1991. Durante quell’Assemblea, la guerra del Golfo era diventata una delle questioni più divisive. La grande maggioranza delle delegazioni concordò all’unanimità di affermare inequivocabilmente che la guerra “non è né santa né giusta”. Ma ci fu chi si oppose alla richiesta di un cessate il fuoco immediato e incondizionato che arrivava principalmente dalle chiese americane e dalla Chiesa d’Inghilterra. Si posero pertanto domande teologiche sulle chiese che difendono la guerra. La domanda cruciale era: “le chiese che difendono apertamente una guerra possono essere membri della nostra comunione”. Alcuni hanno chiesto che fossero escluse. Ancora una volta, il Wcc non optò per una soluzione radicale, né decise di escludere quelle chiese nel desiderio più forte di continuare il dialogo. L’approccio spirituale ha prevalso. La frase più citata a Canberra è stata quella del segretario generale del “Middle East Council of Churches”. Alla domanda, da che parte della guerra sta Dio, la risposta fu: “Dio è dalla parte di coloro che soffrono”.

E casi che coinvolgono Patriarcati e Patriarchi dell’Est europeo?

Durante la guerra in Jugoslavia ci sono state forti pressioni per sospendere l’appartenenza alla Chiesa ortodossa serba. Inizialmente, il Patriarca Pavle aveva dato appoggio ai leader politici e alla maggior parte delle persone che vedevano nella guerra un modo legittimo di difendere l’identità nazionale. Tuttavia, quando si è reso conto di aver compiuto passi falsi nell’arena politica, ha avuto la grazia di scusarsi pubblicamente. Ha corso il rischio di partecipare alle massicce proteste antigovernative a Belgrado ed ha avuto il coraggio di dichiarare pubblicamente: “Se una Grande Serbia dovesse essere costituita commettendo un crimine, non lo accetterei mai; … Possiamo scomparire, ma scompariremo come esseri umani. E comunque non scompariremo perché saremo vivi nelle mani del Dio vivente”. Un pastore esemplare, un santo uomo di Dio! Fu la sua una testimonianza coraggiosa dei valori della nostra fede cristiana in una situazione difficile che potrebbe servire da guida ed esempio per il discernimento oggi.

Padre Ioan Sauca, qual è la sua opinione personale? Il Comitato Centrale tornerà ad unirsi a giugno: cosa deciderà, secondo lei?

Non posso prevedere la decisione del prossimo Comitato Centrale, ma credo che sarà una delle questioni più calde sul tavolo. La mia opinione personale? Come molti, soffro, in particolare come sacerdote ortodosso. I tragici eventi, la grande sofferenza, la morte e la distruzione sono in profonda contraddizione con la teologia e la spiritualità ortodosse. Come avete visto, ho fatto del mio meglio: ho condannato l’aggressione russa all’Ucraina, sostenendo la dichiarazione del metropolita Onufry che l’ha definita una “guerra fratricida”. Ho scritto al patriarca Kirill, ho richiamato i due presidenti per fermare la guerra e una delegazione del Wcc ha visitato i confini dell’Ucraina dall’Ungheria e dalla Romania per incontrare i profughi. Ci sentiamo tutti senza speranza, arrabbiati, frustrati, delusi e, umanamente ed emotivamente, tendiamo a prendere decisioni immediate e radicali. Tuttavia, come seguaci di Cristo, ci è stato affidato il ministero della riconciliazione e il tema della prossima Assemblea del Wcc ricorda a tutti noi che l’amore di Cristo spinge il mondo intero alla riconciliazione e all’unità. Sarebbe molto facile usare il linguaggio dei politici ma siamo chiamati a usare il linguaggio della fede, della nostra fede. È facile escludere, scomunicare, demonizzare; ma siamo chiamati come Wcc ad essere una piattaforma di incontro, dialogo e ascolto anche se e quando non siamo d’accordo. Questo è sempre stato il Wcc e soffrirei molto se questa vocazione andasse perduta e la natura del Wcc cambiasse.

Come può il Wcc compiere pienamente questa missione mentre è in corso una guerra “fratricida”?

Credo nella forza del dialogo, nel processo di riconciliazione. La pace imposta non è pace; una pace duratura deve essere una pace giusta. La guerra non può essere giusta o santa; uccidere è uccidere e questo deve essere evitato attraverso il dialogo e i negoziati, ascoltando prima la vittima e poi l’autore del reato. Credo anche che l’autore del reato possa essere cambiato, trasformato dalla forza del dialogo e dall’opera della grazia di Dio, assumendo la responsabilità delle colpe, riparando ai danni e avanzando sulla via della giusta pace. Può sembrare idealistico e utopico quando ci troviamo di fronte a evidenti segni di crimini di guerra, ma le Sacre Scritture e la nostra storia ci danno molti esempi di questo tipo. Per concludere: non smetterò di parlare contro qualsiasi aggressione, invasione o guerra; continuerò ad essere profetico, e farò del mio meglio perché il Wcc sia fedele alla sua missione, quella di mantenere aperto il tavolo del dialogo. Perché se escludiamo coloro che non ci piacciono o con cui non siamo d’accordo, con chi parleremo, come possiamo avanzare verso la riconciliazione e una pace duratura e giusta?

Oltre al conflitto militare in atto, c’è anche un “conflitto” in corso tra le Chiese ortodosse. Cosa intende fare il Wcc per evitare strappi?

Il Consiglio Ecumenico delle Chiese cerca di incoraggiare le sue Chiese membri ad affrontare i loro disaccordi e le loro divisioni attraverso la preghiera reciproca, il dialogo teologico e il lavoro comune ogniqualvolta e ove possibile. Sebbene il Wcc non abbia autorità legale sulle sue chiese membri, crea spazi ecumenici in cui possono affrontare ciò che le separa, se lo desiderano. I vari spazi ecumenici creati nella storia dal Consiglio ecumenico delle Chiese hanno contribuito a costruire ponti e fiducia tra le Chiese ortodosse che erano isolate l’una dall’altra a causa di circostanze storiche.

Molti parlano di “morte dell’ecumenismo” a causa dell’incapacità delle Chiese ortodosse di parlarsi. Quanto incide la guerra sul dialogo ecumenico tra le Chiese?

Non sarei d’accordo con coloro che parlano di “morte dell’ecumenismo” a causa dell’incapacità di alcune chiese ortodosse di parlarsi. La famiglia ortodossa non è la prima e l’unica ad affrontare oggi tensioni e divisioni interne. I disaccordi tra due chiese, per quanto gravi possano essere, non uccideranno il movimento ecumenico. La ricerca dell’unità dei cristiani nasce dalla confessione che la Chiesa di Cristo è una, nonostante le nostre divisioni umane. Ci impegniamo nel movimento ecumenico non perché stia producendo molti risultati, ma perché è un imperativo evangelico. Pertanto, non vedo questo tempo come una “morte dell’ecumenismo”. Al contrario, vedo più che mai la rilevanza e l’importanza di un organismo come il Wcc. Rimane l’unico spazio libero che riunisce le chiese di tutto il mondo, per dialogare e trovare amicizia insieme. Se non avessimo avuto il Wcc in questi giorni, avremmo dovuto inventarlo. È l’unica via verso la riconciliazione e l’unità.

Fonte: Sir
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