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Pelè, in ricordo di un re

Un messaggio che resta, perché fusione atemporale di fisicità e di spirito, di speranza per tutti, poveri e non. Semplicemente di umanità. Ciao, O Rey, e grazie per il tempo magico che ci hai regalato

Nella foto Ansa/SIR, Edson Arantes do Nascimento Pelè

Il re è morto, lunga vita al re. O Rey per eccellenza, senza possibilità di dubbi, litigi, campanilismi. Più di un re, forse, una leggenda, che mette insieme tutto ciò che in molte lande del pianeta purtroppo è diviso: tre mondiali vinti, maggior numero di gol con la sua nazionale, povertà iniziale, calcio per strada e con palla di stracci, carisma che ha frantumato tutti i luoghi comuni razzisti, capacità di affondare con il suo genio calcistico i confini dettati dai ruoli e dagli schemi, in grado di fermare con quel carisma, anche se solo per 48 ore, la guerra civile in Nigeria nel 1967, perché tutte e due le fazioni contrapposte volevano vederlo giocare a Lagos.

Tanto da essere ricordato all’Onu come promotore dell’amicizia e della fraternità, più di qualsiasi altra carica istituzionale o politica.

L’Italia fece le spese del genio calcistico del Re nella finale dei mondiali del 1970 in Messico, nonostante che a marcarlo (a quei tempi si usava una stretta, occhiuta e ruvida marcatura a uomo, soprattutto sui campioni) ci fosse uno dei più implacabili terzini della storia del nostro calcio, il leggendario, roccioso Tarcisio Burgnich. Ma come lo stesso difensore ebbe poi a confessare, per alcuni la marcatura umana non era sufficiente, perché in Pelè convivevano classe, resistenza, corsa, umiltà, sfrontatezza – e però anche rispetto dell’avversario – visione del gioco, strategia, completezza del repertorio, compresi i colpi di testa (pur non essendo alto, ma la classe non conosce centimetri), di tacco, tunnel, finte e molto, molto altro.
E non solo calcio: Edson Arantes do Nascimiento è stato ambasciatore delle Nazioni Unite per l’Ecologia e l’Ambiente, oggetto citazionale per canzoni (TheGiornalisti e Venditti, solo per fare due esempi nostrani).

Un mito che nonostante la sua scomparsa a 82 umani anni è destinato a sopravvivere nella storia dello sport – non solo del calcio – e della cultura umana, se a cultura diamo il senso di creazione di un immaginario che prima di lui non esisteva, fatto di sport, genio, eleganza, pace, sorriso e strada di collegamento tra razze, culture, tradizioni.

Un messaggio che resta, perché fusione atemporale di fisicità e di spirito, di speranza per tutti, poveri e non. Semplicemente di umanità. Ciao, O Rey, e grazie per il tempo magico che ci hai regalato.

Fonte: Sir
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