Dalla Chiesa
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Commemorazione dei defunti

Nella comunione dei Santi

Non solo una ricorrenza, ma un'occasione per riflettere sul senso della vita

Nella foto di Pier Giorgio Marini un piccolo cimitero di montagna

Nei primi giorni di novembre, molti si recano ai cimiteri. Già il nome, derivato dal greco “koimeterion”, luogo dove si va a dormire, giustifica il desiderio di andare a trovare “i nostri morti”. Loro “dormono” il sonno della pace. Sono nell’attesa del risveglio della risurrezione, del completamento del sacramento del battesimo, cioè dell’immersione nella morte di Cristo per partecipare della sua risurrezione; un’attesa che già da ora è terminata perché sono di fronte a Dio, immersi nel suo mistero, vivi. La nostra visita ha il senso del ritrovarsi con coloro che ci hanno preceduto, i nostri famigliari e amici, come in una riunione di famiglia. In questi giorni non domina il pianto, ma il ricordo e l’incontro, la “comunione dei santi”. La nostra fede è più profonda e umana di quanto noi stessi pensiamo. Va incontro ai desideri di rimanere in comunione con loro, superando così quel “muro d’ombra”, come lo chiama Ungaretti: “E il cuore quando d’un ultimo battito avrà fatto cadere il muro d’ombra per condurmi, madre, sino al Signore, come una volta mi darai la mano”. Il poeta ha quel senso profondo di comunione con la madre morta come tutti noi con i nostri; una comunione che assume la dimensione della protezione, dell’incoraggiamento, dell’accompagnamento.

Le feste dei santi e dei morti negli stessi giorni, in realtà, ci dicono la comunione e la protezione che i nostri morti hanno con noi e per noi. Loro stessi anche ora ci parlano, ci dettano pensieri sul valore delle cose, su ciò che conta davvero. Come ci ricorda Totò, nella sua famosa poesia: “‘A morte ‘o ssaje ched’e?…è una livella. ‘Nu rre, ’nu maggistrato, ’nu grand’ommo, trasenno stu canciello ha fatt’o punto c’ha perzo tutto, ’a vita e pure ‘o nomme: tu nu t’hè fatto ancora chistu cunto? (…) Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive: nuje simmo serie… appartenimmo à morte!”.

Quella serietà ci chiede di riflettere sul senso della vita e su ciò che vale la pena perseguire per una risposta alla nostra vocazione a diventare “come lui, perché lo vedremo così come egli è”, come ci ricorda l’apostolo Giovanni nella sua prima lettera.

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