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Papa in Mozambico. Don Bolzon (missionario a Beira): “Pochi si arricchiscono da sfruttamento delle risorse ma la gente è povera e soffre”

Il 5 e 6 settembre prossimi papa Francesco sarà in Mozambico per portare “Speranza, pace e riconciliazione” in una società in profonda trasformazione dal punto di vista religioso, una situazione politica ancora fragile e in alcune zone violenta

Don Maurizio Bolzon (Foto agensir.it)

In Mozambico le donne già avvolgono intorno alla vita la tradizionale capulana, le stoffe stampate con il logo e il motto della visita di papa Francesco il 5 e 6 settembre, nell’ambito di un viaggio che toccherà anche Madagascar e Maurizio (4-10 settembre). Il Papa viene a portare “Speranza, pace e riconciliazione” in una società in profonda trasformazione dal punto di vista religioso, una situazione politica ancora fragile e in alcune zone violenta, una corruzione altissima, uno sfruttamento senza regole delle risorse della natura e tantissima povertà. Tutto aggravato dalle catastrofi ambientali, come gli ultimi cicloni Idai e Kenneth della primavera scorsa, che hanno ucciso centinaia di persone e seminato distruzione.

Ne sa qualcosa don Maurizio Bolzon, 50 anni, fidei donum della diocesi di Vicenza, che vive da due anni a Beira insieme a due confratelli veneti, accolti dall’arcivescovo don Claudio Dalla Zuanna,  dehoniano vicentino. Una delle sue parrocchie era stata completamente rasa al suolo dal ciclone Idai ed è stata ricostruita dai fedeli. I tre sacerdoti veneti condividono fino in fondo la vita della popolazione dei bairros, i quartieri più poveri. A distanza di quattro mesi i tetti scoperchiati dal vento sono stati sistemati in maniera approssimativa, ma quando arriverà di nuovo la stagione delle piogge il problema si riproporrà. “Come fanno a riparare le case se le persone nemmeno lavorano? Ai poveri vengono date solo briciole”, dice all'agenzia Sir, al telefono da Beira.

Le violenze nella provincia di Capo Delgado. Don Maurizio descrive in maniera accorata il cronico problema dell’Africa:

“I Paesi che hanno delle ricchezze diventano luoghi di distruzione e morte. Ma i poveri non beneficiano mai dei proventi di queste risorse”.

Nella provincia settentrionale di Capo Delgado, ad esempio, da un anno e mezzo ci sono continui attacchi da parte di gruppi armati che uccidono uomini, donne e bambini. Bruciano i villaggi, le scuole, le chiese, le moschee, con centinaia di vittime e migliaia gli sfollati. Una crisi ignorata da tutti. Il governo ha militarizzato la zona, arrestato 400 sospetti e attribuito le violenze a gruppi estremisti islamici provenienti dall’estero. Ma i dubbi sono tanti. Anche perché il territorio è ricchissimo di risorse del sottosuolo, soprattutto rubini, ed è zona di traffici illeciti. Monsignor Luiz Fernando Lisboa, brasiliano, vescovo della diocesi di Pemba, ha denunciato nei giorni scorsi “poteri occulti che pretendono di imporre i propri interessi”: “Come fantasmi – scrive monsignor Lisboa in una lettera aperta -, i ribelli (contro chi o contro cosa?) appaiono e scompaiono senza farsi vedere, nei momenti più inaspettati, lasciando dietro di sé  solo tracce di disastri. Ma sappiamo che i fantasmi non esistono. E’ un pezzo di lenzuolo che nascondo qualcosa o qualcuno”.

Il Mozambico è da tempo terra di conquista di materie prime, tra cui 2.400 miliardi di gas scoperto dall’italiana Eni, subappaltato a multinazionali americane. Ma anche sabbie pesanti, legname, pietre preziose e terreni agricoli da destinare a monocolture, oggetto del cosiddetto land grabbing. I Paesi più ricchi del mondo qui fanno affari d’oro. Le lingue più parlate tra gli investitori sono il cinese e l’arabo. Ma anche se il Pil aumenta ancora, al ritmo del 3,5%, la popolazione rimane poverissima, priva di infrastrutture sociali, educative e sanitarie. Il Mozambico è tra i primi Paesi per presenza del virus Hiv/Aids e per diffusione della malaria. I due terzi dei 29 milioni di abitanti vivono al di sotto della soglia della povertà. “Non c’è produzione, per cui non si crea lavoro – spiega il missionario -. A Beira ci sono solo magazzini enormi di stoccaggio delle merci, che poi vengono lavorate altrove”.

“Mi piacerebbe che il Papa puntasse l’attenzione sul problema dello sfruttamento delle risorse del Mozambico e la sofferenza della popolazione”.

“Solo lui può far conoscere queste situazioni. Qui chi difende la verità rischia. Bisogna usare prudenza per continuare a stare vicino alla popolazione”.

Sei milioni di cattolici e “tanta frammentazione religiosa”. Durante la due giorni papa Francesco toccherà solo la capitale Maputo. Non sono previsti grandi numeri negli eventi pubblici, anche perché i viaggi in bus sulle disastrate strade mozambicane sono un’impresa. Il Paese conta 6 milioni di cattolici (pari all’8% della popolazione) e le 12 diocesi del Paese potranno mandare solo 50 persone ciascuna (20 giovani e 30 adulti). Per chi non riuscirà a partecipare alle celebrazioni ci saranno maxischermi per le strade. “Non sono mai stato a Maputo, ci vogliono almeno 16 ore – dice don Bolzon -. Dal nord anche due o tre giorni di viaggio”.

Dal punto di vista della fede il Papa troverà “una grossa frammentazione religiosa e tanta confusione”.

La società è cambiata in seguito all’arrivo in massa delle “piccole Chiese” (così vengono chiamate in Mozambico), ossia sette pentecostali che usano strategie di marketing made in Usa per attirare fedeli. “Affittano capannoni nei mercati e trascinano dentro le persone– racconta -. Stiamo perdendo tanti giovani, attirati da un approccio che promette miracoli (lavoro, soldi, automobile, fidanzata) senza esigenze morali. Invece la Chiesa cattolica continua a richiedere uno stile di vita evangelico”. Intanto la missione sta cambiando volto anche lì: “Oramai nelle riunioni dei missionari è difficile trovare volti bianchi – confida -. Vengono quasi tutti dal Congo, dal Burundi, dal Rwanda. Con la conseguenza che non arrivano più tanti finanziamenti dall’Europa per i progetti di sviluppo”.

A livello politico una situazione ancora fragile. A livello politico, dopo 16 anni di guerra civile che si è conclusa con gli accordi del 1992 nella sede romana della Comunità di Sant’Egidio, “il processo di democratizzazione è ancora in fieri”, ammette il missionario: “In un Paese con due eserciti (l’altro è del partito di opposizione) è difficile parlare di riconciliazione. Anche su questo avrà sicuramente qualcosa da dire”.

Fonte: Sir
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