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santa chiara, 11 agosto

Il vescovo Douglas per i 400 anni delle clarisse a Cesena: "Sabbia, creta e tralcio, piccole cose che ci parlano di Dio"

Pubblichiamo l'omelia che il vescovo Douglas Regattieri ha pronunciato questa mattina in occasione dei 400 anni di presenza delle clarisse cappuccine a Cesena. Poi ha benedetto la statua di santa Chiara donata in occasione dei suoi dieci anni di episcopato

Il vescovo Douglas mentre benedice la statua di santa Chiara, questa mattina dalle clarisse cappuccine, a Cesena

Pubblichiamo l'omelia che il vescovo Douglas Regattieri ha pronunciato questa mattina in occasione dei 400 anni di presenza delle clarisse cappuccine a Cesena. Poi ha benedetto la statua di santa Chiara donata in occasione dei suoi dieci anni di episcopato.

Volendo commentare questa Parola che ci è stata annunciata oggi nella solenne circostanza del festa di santa Chiara, e per noi nel giorno in cui apriamo il IV centenario della istituzione di questo monastero, sottolineo tre immagini bibliche: la sabbia nel deserto, il testo di Osea (Cfr Os 2, 14-15.19-20), la creta, la pagina di san Paolo (Cfr 2 Cor 4, 6-10. 16-18 e il tralcio, la pericope evangelica (Cfr Gv 15, 4-10). Immagini che armonizzano realtà apparentemente contrastanti e opposte: debolezza e bellezza, fragilità e forza, precarietà e stabilità.

 

  1. 1.   La sabbia

Cos’è un granello di sabbia? Eppure insieme agli altri forma le dune, le dune del deserto: chi le ha viste ne è rimasto incantato. Tante realtà, piccole e insignificanti prese in se stesse, ma, insieme alle altre, possono diventare una bellezza indescrivibile! La sabbia forma i deserti, le spiagge. Il deserto, luogo inospitale ma al tempo stesso luogo anche dell’incontro con se stessi e con Dio. Luogo di salvezza. Nel deserto Dio dona la legge. “E quando il popolo si allontana da lui, diventando come una sposa infedele - ha detto papa Francesco in una udienza del mercoledì  – Dio dice: ‘La condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore’” (26 febbraio 2020). Nel deserto, il dono della Parola di Dio, di Dio che parla, della compagnia di Dio, della relazione forte con lui. Senza andare in Algeria o nel Sahara “bisogna attraversare il deserto – ha detto il beato Charles De Foucauld – e nel deserto sostare per ottenere la grazia di Dio. In quei luoghi si caccia fuori da sé tutto ciò che non è Dio”. Certo, so bene che ci sono anche i deserti della solitudine, del tradimento, dell’amarezza e della sconfitta. Ma questi – deserti interiori – possono essere abitati  e animati dalla luce di Dio. Se lo vogliamo! E allora questi deserti possono diventare giardini, come ci indica la nota profezia di Isaia (Cfr Is 32, 15).

 

  1. 2.  La creta

L’altra immagine è la creta. La debolezza affiora continuamente nella nostra vita. Siamo creta. Il libro della Genesi ci dice che l’uomo, simile a Dio, è però debole e fragile: è come un soffio (Cfr Gb 7,716), è come un fiore di durata breve (Cfr Gb 14, 1-2), plasmato d’argilla e destinato alla polvere (Cfr Gb 10,9), è come una nube che svanisce (Cfr Gb 7, 9), i suoi giorni scorrono più veloci della spola, si consumano senza speranza (Cfr Gb 7, 6). San Paolo ci ha parlato oggi di grandezza e di piccolezza, di potenza e di debolezza: “Noi abbiamo un tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi” (2Cor 4, 7). E questo tempo di pandemia non ce lo ha forse dimostrato bruscamente? Ci ha costretto a renderci conto che in realtà possiamo ben poco. Nonostante la nostra conclamata potenza tecnologica, culturale ed economica siamo ben fragili, tutti. Il papa nell’indimenticabile preghiera in piazza san Pietro di venerdì 27 marzo, ha detto: “La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità” (27 marzo 2020).

Ma – pensando alla creta – che ottima occasione per riconoscere la grandezza di Dio, a partire dalla nostra debolezza e quale potenziale di carità e di solidarietà è il fare esperienza della propria finitudine e di quella degli altri. Nella fragilità infatti ci si stringe. Ci si accomuna. Ci si abbraccia. Ci si sostiene. L’abbiamo visto durante la pandemia. Dalla nostra comune e condivisa fragilità alla genuina e generosa solidarietà. Allora la creta diventerà dura e stabile come la roccia.

 

3. Il tralcio

Poi c’è il tralcio. Anche il tralcio è ben poca cosa. Ma che frutto produce! il vino. “Il vino - ha scritto papa Benedetto XVI - esprime la festa. (…) Ci lascia intuire qualcosa della festa definitiva di Dio” (Gesù di Nazareth, pp. 290-291). Pensiamo alla piccolezza e fragilità di quei tralci che vediamo nei lunghi filari dei nostri vigneti. Ci rimandano ai banchetti delle nostre feste: di nozze, di prime comunioni, di cresime, dei compleanni, di anniversari della nostra vita… Il vino, prodotto da un così insignificante ramoscello come il tralcio,  quale potenziale di gioia sa dare. Allieta veramente il cuore dell’uomo (Cfr Salmo 104, 15). E così il debole tralcio è simbolo della gioia. 

         E dunque queste creature - sabbia, creta e tralcio - pur nella loro piccolezza e apparente insignificanza -  ci parlano di Dio, ci rimandano a Dio che è Bellezza, che è Verità, che è Gioia. Lodiamo Dio che splende nella sua creazione. E impegniamoci a non deturparle, queste creature, per non offuscare il volto luminoso del Padre che in esse si riflette. Non è questo anche un messaggio tipicamente e squisitamente francescano e clariano?

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