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Parla la presidente della San Vincenzo: "Per i giovani ho due sogni nel cassetto. Realizzabili"

La convinzione di Milena è forte: «È con il lavoro che si ridà dignità. Sarebbe bello poter costituire una rete con le realtà del territorio per aiutare questi ragazzi». Poi l’idea di due progetti concreti, realizzabili: «Un punto di accoglienza per quanti non stanno bene in famiglia. Un posto per i giovani gestito da loro

Foto Siciliani-Gennari/SIR

Di seguito pubblichiamo l'intervista a Milena Piraccini, presidente diocesana della Società di San Vincenzo. L'intervista è pubblicata nel Primo piano dell'edizione cartacea. Per un errore di battitura, una a ha preso il posto di una o cambiando in maniera radicale il senso di quanto inteso dire dalla Piraccini. Qui riproduciamo il testo corretto. "Per farli stare buoni vengono prescritti loro dei farmaci": questa la dicitura esatta. E non "vengano" che pare un auspicio. 

Di seguito l'intera intervista pubblicata a pagina 13 dell'edizione in edicola da oggi. 

Fino al 2008 neppure sapeva dell’esistenza. Poi è stato amore a prima vista. Stiamo parlando della Società di San Vincenzo de Paoli e della sua presidente diocesana, Milena Piraccini, che nella parrocchia di San Pietro, a Cesena, è venuta in contatto con quest’opera caritativa.

«È stato grazie a don Walter – racconta durante un lungo colloquio a metà tra la confidenza e l’intervista – a farmi conoscere la San Vincenzo: quando entri dentro la Carità, fai fatica a venirne fuori». Un marito, due figlie e un nipote di 11 anni, Milena lavora in un’azienda di prefabbricati, a Pievesestina. «Mio padre se ne andò di casa quando avevo solo sei mesi. Ho visto e vissuto situazioni che i bambini non dovrebbero né vedere né vivere», confida Milena.

«A volte in casa non avevamo neppure da mangiare – narra di sé la presidente diocesana –. Forse è grazie a quelle esperienze che riesco a capire di più la sofferenza negli altri e anche la difficoltà nell’accettare l’aiuto da altri. Non è sempre così facile e così scontato».

Dopo il rapporto con due malattie, oggi Milena vive «proiettata verso l’infinito – come ama dire – perché nel Vangelo uno vede già quella bellezza e pienezza d’amore che ci sarà un giorno. Con la fede, sento di avere qualcosa di meraviglioso che non posso tenere per me. Penso anche a dove ero finita e dove Dio poi mi ha portato».

In prima elementare Milena ha rischiato la bocciatura. «Eravamo negli anni Settanta e le famiglie divise allora erano un’eccezione. I miei genitori hanno sempre vissuto nel loro egoismo – prosegue nel tracciare la sua storia personale -. Poi in terza elementare sono arrivata a San Giorgio dove c’era come parroco don Secondo Farnedi. Al catechismo ho incontrato per la prima volta Gesù e ho scoperto di essere amata. Quell’incontro ha salvato la mia vita. E oggi vorrei che potesse salvare la vita di tanti giovani che vivono senza speranza. A loro racconto la mia vicenda personale: una storia di speranza e amore».

Dove ci sono dei giovani, Milena cerca di andare e di farsi presente. È nel carisma della Società di San Vincenzo: la prossimità. Anche in questo periodo di pandemia, nonostante tutto. «Se entri nei loro ambienti, le persone parlano, si confidano – aggiunge Milena -. È importante instaurare una relazione e ci vuole accoglienza. Dico spesso ai ragazzi che incontro: se volete, insieme possiamo percorrere un tratto di strada assieme. Sono tanti i giovani chiusi in casa. Non studiano e non lavorano. E dietro queste grandi sofferenze ci sono spesso situazioni di separazioni o di povertà estreme. Molti sono arrabbiati con tutti. Se si riesce ad avvicinarli con amore, si scopre che sono diretti e concreti. Non vogliono ipocrisie da noi adulti, ma coerenza. Tanti ragazzi hanno perso motivazione. Non hanno competenze, sogni e traguardi, ma avrebbero enormi potenzialità. Hanno l’energia per cambiare il mondo. Bisognerebbe capire la loro indole e farli appassionare per far comprendere cosa è importante. Sono ragazzi che spesso non hanno un solo euro da spendere. Anche per questo si chiudono in casa. A volte si vergognano dei genitori. Poi ci lamentiamo delle bande che delinquono? Riusciamo a capire cosa significhi un rossetto che una ragazza non si può comprare o una pizza cui si rinuncia perché non ci sono i soldi? Comprendiamo cosa voglia dire non avere lo shampoo per i capelli?».

Ecco il sogno nel cassetto. «Nel nostro territorio – confida Milena – ci sono molte realtà che potrebbero dare risposte. Questi ragazzi, che spesso vengono da famiglie originarie dell’est Europa o di Paesi extracomunitari (ci sono anche tanti dei nostri) avrebbero bisogno di formazione e introduzione al lavoro. Molti hanno una vita soffocata dalla sofferenza».

Ecco il desiderio di Milena. «Dare concretezza a una proposta: accogliere uno di questi ragazzi. Gli imprenditori aprano il loro cuore per dare loro una possibilità. Sono giovani che hanno talenti da valorizzare. Alcuni tentano il suicidio, o si anestetizzano con alcol e droghe, per evadere dalla situazione che stanno vivendo. Per farli stare buoni, vengono prescritti loro dei farmaci».

La convinzione di Milena è forte: «È con il lavoro che si ridà dignità. Sarebbe bello poter costituire una rete con le realtà del territorio per aiutare questi ragazzi». Poi l’idea di due progetti concreti, realizzabili: «Un punto di accoglienza per quanti non stanno bene in famiglia. Un posto per i giovani gestito da loro. E poi un luogo di preghiera, accoglienza e anche di divertimento per scoprire la bellezza del dono di sé».

Sì, perché c’è bisogno di vedere il bello che esiste, in un mondo in cui gli adulti sono incapaci di fermarsi. «La preghiera, il silenzio, l’ascolto – conclude Milena con l’ennesima confidenza – sono fondamentali per sentire la presenza di un Altro». Quello con la maiuscola.

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