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Una comunità che accoglie

Per amare bisogna essere amati

Il testo integrale dell’intervento che i coniugi Luciana e Paolo Baldisserri hanno fatto giovedì 25 gennaio al palazzo del Ridotto, a Cesena, durante la presentazione di “Una comunità che accoglie”, il progetto grazie al quale si è dato vita a un dormitorio per 12 persone in via Costa, vicino alla chiesa di san Pietro.

Per amare bisogna essere amati

Circa un anno fa l’ASP di Cesena ha chiesto alla nostra associazione Famiglie per Accoglienza di cercare una famiglia per un ragazzo Ivoriano quasi maggiorenne arrivato in Italia come profugo su un barcone, con una storia di dolore, violenza e di prigione alle spalle, orfano di padre e lontano dalla madre. Questo ragazzino chiedeva con insistenza di potere stare in una famiglia. Ci siamo attivati interpellando la rete di relazioni delle famiglie nel nostro comune, ma nessuna risposta. Ma ogni avviso che si diffonde è una provocazione anche per se stessi. Io e mia moglie ci siamo sentiti interpellati personalmente e ne abbiamo parlato in famiglia, con i figli.

Io e Luciana abbiamo 4 figli naturali e da circa 8 anni abbiamo in affido un ragazzo indiano che ha compito 18 a metà Dicembre. E’ arrivato a 10 anni pieno di segni lasciati dalla sua storia molto dolorosa fatta di trascuratezza e di violenza fisica. Vissuto in una famiglia indiana in Emilia, con qualche lieve problema. Ma in questi anni ha fatto tanti passi in avanti. La sfida è stata quella di accogliere questo ragazzo indiano come un figlio. Con la stessa attenzione, dedizione, affetto e determinazione proprio come per un figlio.

Rispetto a questo nuovo ospite la reazione del nostro primo ragazzo in affido è stata dapprima di opposizione dovuta a due fatti: dalla mentalità comune. Un profugo, ma soprattutto dalla paura che il nuovo arrivato potesse prendere il suo posto nei nostri affetti e nelle nostre preoccupazioni. Chiarito questo: lui sarebbe stato nostro figlio per sempre tutto è cambiato: certo che può venire ha concluso.

Il sì del nostro ragazzo in affido ha aperto la porta al ragazzo profugo che viene da lontano, per il momento solo sabato, domenica e festivi. Uno pensa genericamente ai profughi nel barcone e poi incontra gli occhi vivi di un ragazzo semplice, silenzioso e sorridente ed allora i profughi diventano un’altra cosa. In questi mesi il nostro ragazzo in affido è stato quello più attento al nuovo arrivato, lo porta a fare footing, si preoccupa del pigiama, dello spazzolino da denti e del dentifricio.

I servizi del comune lo hanno avviato ad un corso professionale, a corsi di apprendimento dell’italiano e inserito in una polisportiva locale di calcio, ma il grande desiderio del nostro ragazzo è un bel lavoro ed una famiglia.

La preoccupazione per noi in questa nuova avventura è di accogliere questo nuovo amico come un figlio, come nell’esperienza dell’affido.

Il desidero del nostro ragazzo ivoriano è di vedere e di vivere in una famiglia che si vuole bene, contenta e questa è una sfida per la nostra e per la sua umanità. Accogliere ti porta ad un cammino di vera maturità umana e cristiana e questa è la convenienza.

Compleanni, anniversari, feste natalizie in nostro ragazzo ha partecipato con semplicità e curiosità a tutto. Gli piace stare in casa, guardare la televisione in particolare le partite di calcio: la semplicità di condividere una passione sportiva, l’essere accolto con simpatia dai parenti e dagli amici dei figli, l’invito al calcetto, al torneo interparrocchiale Benedetto. Tutto in una modalità semplice e di accoglienza non formale. E’ mussulmano ed anche questa è una bella sfida. Abbiamo cercato di rispettarlo senza rinunciare noi a niente: ad esempio non abbiamo rinunciato al momento del pranzo alla preghiera di ringraziamento che è diventata per noi meno formale a causa della sua presenza; c’è sempre una attenzione ai cibi da preparare e da mettere a tavola.

All’inizio di ottobre si è sposato il nostro terzo figlio Gabriele ed allora lo abbiamo portato a vestirsi, abbiamo approfittato di tutti gli sconti di Agosto: in un negozio a provarsi la giacca, la camicia bianca e la cravatta papillon.

Il giorno del matrimonio per la foto c’erano tutti, appartenenti alla nostra stessa famiglia, non una casa famiglia, ma una famiglia grande come avevamo sempre desiderato quando eravamo ancora morosi come si dice qui in Romagna: i 4 figli naturali, i due accolti e 5 nipotini. Il giorno del matrimonio liberamente è stato contentissimo di seguire la funzione in Chiesa in una splendida Cesenatico.

Alla fine dell’anno gli abbiamo regalato una vacanza insieme all’ultimo nostro figlio che frequenta l’ultimo anno del Liceo. Una vacanzina per trascorrere il capodanno a Napoli insieme ai ragazzi di GS Gioventù Studentesca. Credo che per lui sia stata una esperienza eccezionale: essere accolti, quasi coccolato da tutti, i fuochi di artificio visti da un colle sopra Napoli, il primo giorno dell’anno lo hanno festeggiato per il compleanno. Ma credo che anche per gli altri ragazzi della gita sia stato un percorso educativo.

La vita non fa sconti e anche lui sa perfettamente che se non impara l’italiano, se non impara a parlarlo, se non impara a leggere e se non impara a scrivere. Se non impara a fare di conto… frequenta il corso professionale al Lugaresi. Insieme ad altri amici di famiglia lo stiamo aiutando per il disegno iniziando dal tenere in mano la matita, la lettura, la matematica. Sembra una impresa titanica …. Io lo seguo per matematica. Ero partito da esercizi di terza media e poi sempre più indietro perché il livello era troppo complesso. Adesso sono alla seconda elementare.

Un cammino il suo ma un cammino anche il nostro, una crescita di consapevolezza del valore della singola persona, la scoperta del valore della povertà, ovvero capisci che la tua consistenza non coincide con tutto il benessere che hai attorno.

Questo cammino è condiviso con gli educatori ed i referenti dell’ASP di Cesena che periodicamente incontriamo per verificare i passi fatti.

La diversità fa paura, è un dramma. Non voglio entrare in problematiche sociali e politiche che pure bisogna affrontare, ma l’accoglienza della diversità è una occasione, non possiamo guardare alla diversità come ad un limite, la diversità va per-donata intesa come un super-dono. E questo a partire dal rapporto con mia moglie, con i miei figli, con i colleghi di lavoro e questo spesso non succede perché si vive con distrazione.

Per amare bisogna essere amati. Bisogna prima essere contenti di essere amati. Tutto questo è potuto accadere rimanendo attaccati con la testa, le mani ed il cuore all’esperienza cristiana.

In conclusione se devo fare una sintesi di questi anni per me e la mia famiglia, cosa ha cambiato in me leggerei questa frase tratta Dal libro Il miracolo della Ospitalità di Don Luigi Giussani.

“Non si tratta di dare da mangiare, di passare un’ora, di dare da dormire: si tratta di dare da mangiare, di dare da dormire, di stare attenti quando piange, di stare attenti quando ride, di stare attenti ai suoi bisogni, ma esattamente come per un figlio!”.

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