Rubicone
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la persona al centro

La dottoressa Pittureri: "Il nostro impegno è prenderci cura"

"Le cure palliative non hanno nulla a che spartire con l’eutanasia. Lo scriva a chiare lettere", dice con forza l'oncologa

L'equipe di cure palliative che opera all'hospice di Savignano sul Rubicone. La dottoressa Pittureri è la quarta in piedi da sinistra

Pubblichiamo il testo dell'intervista alla dottoressa Cristina Pittureri, responsabile dell'hospice di Savignano sul Rubicone. Il colloquio è riportato nel Primo piano della scorsa settimana pubblicato sulla nostra edizione cartacea. In pagina anche alcune domande poste al dottor Marco Maltoni, responsabile d'area per l'Ausl della Romagna, i 20 anni di recente festeggiati e il lavoro che si realizzza insieme tra operatori e famiglia, con un occhio sempre attento al paziente. 

"Le cure palliative non hanno nulla a che spartire con l’eutanasia. Lo scriva a chiare lettere". Lo dice con forza la dottoressa Cristina Pittureri, oncologa, responsabile dell’hospice di Savignano sul Rubicone, punto di riferimento delle cure palliative per il territorio cesenate. "Qui – aggiunge - non si fa nulla per anticipare la morte. Siamo impegnati per dare qualità a quello che rimane da vivere e sollievo dalla sofferenza, affinché non si debba nemmeno pensare di ricorrere all’eutanasia". Come dicono le parole, le cure palliative sono “cure”.

"È un lavoro in cui bisogna credere. Bisogna credere nel valore della persona. Occorre avere molto rispetto dell’ammalato, del suo familiare e di chi esercita questo mestiere. Bisogna volere bene e volersi bene. Vale il paziente così come vale l’operatore sanitario. Qui l’equipe è la risorsa che aiuta il malato, il suo familiare e l’operatore sanitario stesso. A oggi l’equipe è composta da una coordinatrice infermieristica, un’infermiera case manager, otto infermiere, sette operatrici socio-sanitarie, tre medici, una psicologa e un fisioterapista – sottolinea la responsabile -. Le cure palliative sono una medicina a “bassa tecnologia”, ma ad “alto livello di competenza scientifica ed umanistica. Lo strumento di cura prevalente è l’equipe specificatamente formata per affrontare terapie dei sintomi incluso il dolore, ma anche problematiche etiche. Per fare bene questo lavoro e resistere negli anni bisogna avere molta cura e fiducia nell’equipe”.

In cosa consistono le cure palliative? "La medicina palliativa si occupa dello studio e della gestione di pazienti con malattie progressive. Il fulcro – dice la dottoressa che è a Savignano dall’avvio di questa esperienza, il 18 ottobre 2001 – delle cure palliative è dato dalla preservazione della migliore qualità della vita possibile. Anzi, il coinvolgimento dei pazienti nelle scelte che riguardano la cura della loro malattia rappresenta uno degli obiettivi principali".

La gente spesso considera gli operatori negli hospice come quelli buoni e non prende in considerazione il difficile percorso formativo e le loro competenze. "Incolpano le terapie del peggioramento clinico dei propri cari – replica la Pittureri -. Pochi ancora conoscono le cure palliative. Il pregiudizio a volte gioca brutti scherzi, porta ad allontanarsi dalle terapie e a cercare strade alternative fino a soffrire in solitudine. È la malattia che porta via le forze fisiche e spegne l’esistenza, non le medicine. Abbiamo grandi difficoltà nel far comprendere che la malattia è un percorso naturale della vita. Il malato si difende, combatte e chiede, può morire arrabbiato, se non è in grado di riconciliarsi con il proprio vissuto di cura e di vita. Lo sappiamo che combattiamo contro una malattia che non può guarire, ma il nostro impegno è curare, in tutti gli aspetti, la sofferenza fisica e mentale. Ci prendiamo cura dei pazienti a 360 gradi. E le ribadisco che l’eutanasia non ha niente a che fare con le cure palliative. Dall’hospice abbiamo il 30-35 per cento di dimissioni, pazienti che poi possono proseguire le cure al proprio domicilio o in ambulatorio".

Il Covid ha condizionato il lavoro in struttura e quello dell’equipe. "Durante la pandemia – prosegue l’oncologa - è aumentata molto l’assistenza domiciliare. Il lavoro si è modificato: abbiamo avuti ricoveri brevi e molti più assistiti a casa. Le difficoltà legate al rispetto delle regole per la prevenzione del contagio da Covid 19 hanno fatto scegliere i pazienti e le famiglie di fare rapidamente ritorno alla propria abitazione, una volta risolto il motivo principale del ricovero in hospice. A casa abbiamo sempre utilizzato le adeguate protezioni e abbiamo potuto lavorare in sicurezza. In hospice, i familiari di riferimento hanno sempre potuto accedere e permanere nelle 24 ore, anche se purtroppo, nei periodi peggiori, in numero limitato. Per fortuna, con l’arrivo del tempo buono l’ampio terrazzo di cui è dotato l’hospice ha consentito di svolgere gli incontri con i familiari all’aperto e in sicurezza".

Una difficoltà in più gestita con la solita attenzione alla persona, come sempre avviene all’hospice di Savignano sul Rubicone dove la dottoressa approdò da Dublino, su sollecitazione dell’allora primario di Oncologia del “Bufalini”, il dottor Andrea Paolo Rossi, in un’era ancora del tutto pionieristica per le cure palliative in Italia.

“Abbiamo il dovere di valorizzare le forze residue di ogni nostro paziente – conclude la Pittureri – e il tempo che rimane. È difficile farlo capire. Ma questa è la nostra missione”.

assistenza domiciliare cure palliative

Nella foto qui sopra, l'equipe dell'assistenza domiciliare

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