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fede, storia e tradizione

Serra di Tornano. La festa e la storia

Domenica 16 agosto si terrà la festa presso l’antico borgo di Serra di Tornano, in comune di Mercato Saraceno. Alle 17 sarà celebrata la Messa dal parroco don Maurizio Macini

Serra di Tornano. La festa e la storia

Domenica 16 agosto si terrà la festa presso l’antico borgo di Serra di Tornano, in comune di Mercato Saraceno. Alle 17 sarà celebrata la Messa dal parroco don Maurizio Macini.

Già dalla specificazione “Di Tornano” che la gente ancora usa parlando, si evince che i due borghi sono sempre stati molto legati, quasi una cosa sola anche se per secoli separati in due diverse parrocchie. Faceva parte della pievania della vicina Tornano. Questo sperone di roccia sovrasta il Torrente Uso; nel corso dell’800 questi terreni erano coperti di alte piante, nei primi decenni del ‘900 sono state messe in coltivazione. La chiesa di Serra, giungendo dalla chiesa matrice di Tornano, fa capo al piccolo villaggio, che negli anni ’30 comprendeva circa una trentina di famiglie; ora le famiglie stabili sono pochissime. La parrocchia confina con Talamello, Massamanente, Perticara; le distanze sono molto grandi in quanto la zona in direzione del Marecchia è poco abitata.

Siamo all’inizio della Valle dell’Uso, che conduce allo splendido borgo di Montetiffi per giungere poi alla pianura romagnola. Qui si trovano gli abitanti di Serra e Tornano, frequentati dall'uomo fin dall'epoca romana, con insediamenti sparsi, un tempo molto popolati e legati alla vita dei campi. Oggi restano poche famiglie. All'inizio del cristianesimo Tornano era sede di una Pieve, poi la vita si spostò nel castello costruito nel XIII secolo, come peraltro quello di Serra, che però doveva essere una frazione di quello di Tornano, abitata dal contado. La storia più recente di queste borghi è legata all'attività di estrazione dello zolfo nelle vicine miniere di Perticara. Un tentativo fu fatto anche nel territorio di Tornano ma, nonostante uno scavo fra i più bassi d'Italia a 541 s.l.m, lo zolfo non fu mai raggiunto e la discenderia fu utilizzata nel sistema di ventilazione delle miniere di Perticara. La storia di Serra e Tornano è comunque quella di un territorio aspro e difficile ricco di un fascino antico quanto il mondo, ma povero di risorse economiche che consentano di preservarlo da un ineluttabile abbandono da parte delle poche famiglie che ancora vi risiedono. Lo spopolamento arrivò di botto, dopo il 1964 quando la Montecatini chiuse la miniera di Perticara. La Montecatini offrì lavoro diverso alle famiglie che però dovettero trasferirsi a Torino, Trento, Ferrara. Altri, si trasferirono anche a Cesena e Rimini, dove trovavano lavoro. Diversi sono andati in Francia e vi abitano tutt’ora.

Nel 1371, come riporta la nota “Descriptio romandiole” del Card. Anglico, la parrocchia di Serra è formata da 20 nuclei famigliari, la metà di quella di Tornano.

Nel 1528 Tornano e Serra passarono in eredità a Sigismondo e Leonida Malatesta. Andranno poi in eredità a Ramberto, figlio di Leonida. Sarà famoso per essere personaggio inquieto e violento. Uccise la moglie nel castello di Tornano, come riportato più precisamente nella storia di Tornano.

Ora il borghetto di Serra ha perso la sua asprezza antica però ha conservato il suo profilo a falce di luna e ha stemperato il grigiore e la monotonia della pietra nuda con qualche macchia di colore chiaro che dà un po’ di luce al paesaggio: si è inserito a parer mio il nuovo sul vecchio senza rompere le antiche linee architettoniche e paesaggistiche. A Tornano invece, sempre a parer mio, alcune case degli anni ’60 e ’70 non si intonano con il resto.

 

La graziosa chiesetta di Serra, con cantoria come nelle chiese della zona, non ha uno stile proprio; è ornata da tre altari, dei quali i due laterali in marmo rifatti negli anni ’50. Due ampie finestre illuminano il presbiterio. La facciata aveva in origine un finestrone circolare, che venne chiusa per ordine del parroco don Giuseppe Paolucci quando questi, nel 1872, acquistò l’organo a canne e lo fece venire da Scorticata (Torriana).

La canonica prima del 1832 era molto più distante dalla chiesa; finchè non avvenne una permuta con la famiglia Bartolini e si potè conseguire tale felice risultato. A sud dell’attuale canonica, come nota l’Olivieri nelle sue “Memorie Feretrane” era ubicata una rocca costruita per ordine dei Malatesta; Serra, come Tornano, vista l’ubicazione geografica garantiva maggiore resistenza ad eventuali incursioni di gente nemica. Forse qualcuno ha abbattuto il maniero, o semplicemente lo scorrere del tempo e le intemperie hanno abbattuto la fortezza. Rimangono tracce di muri e, qualora si compiono lavori di restauro o lavori agricoli, vengono trovate ossa.

Tra i sacerdoti di Serra, oltre all’energico parroco don Maurizio che si impegna nel tenere viva la piccola frazione, sono da ricordare Don Francesco Angeloni, don Paolo Angeloni, don Giuseppe Zanfanti noto latinista.

Esistevano in passato alcuni oratori, che poi sono stati stralciati da Serra e addossati ad altre parrocchie. Uno era l’Oratorio di Piè di Monte, il famoso santuario – eremitaggio, dove c’era una bella statua della Madonna che venne rubata qualche decennio fa. È situato alle falde del Monte Aquilone, che quale gigante lo sovrasta, ammantato dal cupo verde dei castagni;

Oratorio di Ca’ del Sarto, che veniva officiato dal parroco di Talamello ma con dipendenza dal parroco di Serra.

 

Nel presbiterio si trova una ancona di gesso contenente una tela raffigurante la Vergine Maria, con la cintura, con il Bambino e ai lati Sant’Agostino e San Bartolomeo; il dipinto è del XVIII secolo.

Appartengono a Serra anche altri 3 piccoli dipinti, che non si trovano più in chiesa ma sono stati messi al sicuro altrove.

Uno, misurante cm. 60 x 46, raffigura San Vincenzo Ferreri, con fiamma in capo e dito indicante il cielo. E’ opera del sec. XVII. E’ un olio su tela. Il fondo venne ridipinto dal parroco don Borghesi.

Un altro, di dimensioni cm 50 x 38, del sec. XVIII, raffigura la testa della Madonna Addolorata, circondata da corona di stelle e sguardo volto verso il cielo. E’ un olio su tela.

Il terzo, del secolo XVIII, sempre olio su tela, raffigura Santa Eufemia.

In chiesa, agli inizi del ‘900, esisteva un altare in legno con una tela raffigurante la Madonna e il bambino tenenti in mano la cintura, ai lati in basso Sant’Agostino e Santa Monica. Sia l’altare sia la pala erano state fatte eseguire nell’anno 1622 da Benedetto Angelloni. La famiglia Angelloni è ricordata spesso nelle carte d’archivio, dove emerge per solida pietà e censo. Tale tela, dal parroco don Luigi Borghesi che arrivò a Serra nel 1923 da Castelbolognese, venne messa sulla cantoria a fianco dell’organo; poi si sono perse le tracce. Al suo posto mi ha fatto costruire una nicchia ponendo una nuova Statua della Madonna del Rosario. La famiglia Turci si impegnò a donare, sotto il pontificato di Pio XI, alcuni paramenti alla chiesa di Serra.

In chiesa è conservato il famoso Battistero in stile Barocco, già negli anni ’60 noto a molti antiquari, come scrive in una lettera il dott. Corbara, donato alla chiesa di Serra da don Borghesi. Questo Battistero è scolpito in legno dipinto a fondo bianco e rilievi dorati: sorge su un piede espanso a tre raggi e ornato da festoni di frutta: sul piede il balaustro rigonfio a goccia, con ornati a foglie, e sul balaustro la vasca a ottagono sgusciato verso il basso, che ha solo 5 facce ornate. In mezzo si trova uno stemma il cui campo è diviso orizzontalmente da tre bande dividenti quattro spazi: in alto uno spicchio lunare, poi 3, 2, 1 giglio. Negli altri spazi dell’ottagono due teste ad alto rilievo di serafini si alternano a due encarpi di frutta. Sul coperchio a cupolotto pure cinque facce ornate, con un serafino al centro, e quattro fiori stellari al lati. Del sec. XVI – XVII. Altezza metri 2, larghezza 80 cm. Corbara Antonio residente a Castel Bolognese, che visitò la chiesa di Serra nel marzo 1963 compiendo il sopralluogo, cosi descrive il Battistero: “Riverniciato malamente e ritinto a porporina nelle parti dorata; il resto in buono stato. Nel 1963 si trovava nell’angolo a destra entrando, dove si trova tutt’ora. Sembra di provenienza erratica: sarebbe stato portato li dal parroco don Luigi Borghesi, originario di Castel Bolognese, di famiglia soprannominata “Giapite” che si piccava di pittura: in massima parte ridipintura di vecchi quadri interamente rovinati, come altrove, anche qui nella zona. Migliori questi Borghesi quando dipingono ex – voto. Vedasi schedari di Castel Bolognese – Madonna di San Silvestro in Faenza”.

 

Nell’agosto 1998, a 13 anni di età visitai da vicino le due campane, salendo sul campanile a vela con un po’ di sacrificio, dall’esterno. La campana piccola, più recente, fusa nel 1926 dalla pregiata Ditta De Poli di Vittorio Veneto, che ha molte altre opere nella zona, che in gioventù ho visitato e schedato (4 campane a Rontagnano del 1957, 2 a Montecastello del 1957, 3 all’Oratorio del Ponte di Mercato Saraceno del 1909; 2 a Campiano del 1912; 3 a Civorio del 1884; 3 a Valbiano del 1930, 4 a Quarto del 1954, 5 a Sant’Agata Feltria delle quali 3 originali del 1887, una rifusa perché rotta nel 1927, un’altra rifusa perché rotta nel 1998, 4 a Montecoronaro del 1995). Questa di Serra misura diametro cm 54 e pesa kg 90. E’ in ottimo stato di conservazione. Sorretta da corona a quattro maniglie, è molto ornata (calotta e corpo), ha impressa l’unica immagine della Madonna, vi è un unico stemma con la firma del fonditore e la data: PREM. FONDERIA DE POLI – VITTORIO 1926. E’ una delle tante comuni opere del De Poli senza valore particolare, che nelle nostre zone hanno bronzi dagli ultimi anni dell’800, fino al presente.

La campana grande di Serra è datata 1701. E’ poco più grande della precedente, misura infatti diametro cm. 59 e altezza cm. 62. Pesa kg 130. Sorretta da corona a quattro prese, è l’unica che abbiamo trovato nel censimento con queste caratteristiche. Porta lungo il collo la scritta: SUMPT COMMONIT TORNANI SERRÆ RESTA - - V (due o tre lettere illeggibili) MDCCI. Deve essere la rifusione di una campana più antica, forse rotta. Sul corpo si trova una piccola immagine della Madonna. Vi è uno stemma ben leggibile sul lato con la firma del fonditore, sconosciuto: ANT. DELA DISIMOL.E  ET ARIMIN. FUND. (sicuro) Che sia un fonditore di Rimini? Non è possibile da stabilire, occorrerebbe una ricerca specializzata ma non ne abbiamo il tempo. Nell’anno 2000, grazie all’opera di un bravo ex parrocchiano che tornava in estate, sono stati sostituiti i ceppi in legno (che vedemmo nel 1998) con sostegni in ferrò, più sicuri e duraturi. Lo stesso lavoro venne fatto, dalla stessa persona, alle campane di Tornano.

 

Don Giuseppe, in una testimonianza scritta nel 1996 così racconta di Serra: “… da un censimento del 1953 risulta che in questa frazione erano 315 gli abitanti. I due terzi risiedevano in paese, il resto nelle case sparse. Tutta gente di modeste condizioni economiche, anche il più ricco era povero. Nessuno aveva la macchina e neanche la moto. Nessun televisore, qualche radio. I più benestanti erano gli operai della miniera, una ventina o poco più, che prendevano una discreta paga. C’erano altri veramente poveri: i mezzadri e soprattutto i disoccupati. Questi ultimi non si sa proprio come riuscissero a tirare avanti. C’era persino il caso di famiglie di cinque persone senza che nessuno avesse un lavoro fisso: qualche “quindicina” con il Comune, qualche cantiere di lavoro, la squadra per trebbiare, qualche giornata nei campi, niente più. No, non tutti erano poveri. Dimenticavo il signor Biagio che, se proprio ricco non era, benestante si. Aveva beni al sole e soprattutto la sua attività commerciale: lui ci sapeva fare nel suo mestiere, con il suo camionetto batteva tutta la Romagna e alla sera l’affare ci scappava sempre (a comprare era un mago) e così la Lisa, al rientro, scaricava la merce, la infilava sugli scaffali. Al mattino, dietro il lungo “bancone”, svelta come una sfrombola (oggi si direbbe: veloce come un razzo!) saltellava qua e là, prendeva dagli scaffali il richiesto, lo accartocciava, lo pesava e poi “segnava”: prima sul librettino del cliente e poi sul suo librone. E sotto un’altra! È da sapere che in quegli anni non si comprava in contanti, ma a credito e si saldava il giorno della busta paga. … l’inverno del 1956 fu lungo e freddo: i ragazzi non sapevano cosa fare. Si pensò di mandare in scena una commedia e così ogni sera ci si raccoglieva in canonica per fare le prove: fu un discreto successo. Si andò anche a Montegelli e a Rontagnano, diciamo così, in tournèe. Venne anche una piccola compagnia di teatranti dal di fuori. Ma fu l’ultimo inverno passato all’antica. Tirava aria di novità e anche alla Serra arrivarono le prime folate. Si incominciò con la televisione. La prima l’acquistai io e la mettemmo a disposizione di tutti nella sala ricreatorio della parrocchia, che si trovava, e si trova, proprio ai piedi del paese. Era iniziata un’era nuova. Proprio in quell’anno iniziarono le prime partenze verso le grandi città del Nord. I primi a partire furono i disoccupati. Intanto la miniera si alleggeriva un po’ alla volta dei suoi dipendenti, fino alla chiusura definitiva nel 1964. Il telefono arrivò nel 1957: un impianto che partiva da Mercato e arrivava direttamente a Serra, all’Osteria Zanfanti: una sola cabina pubblica per tutti (solo nel 1984 verrà portato nelle case del paese). Ma l’impatto più grosso, il cambiamento più vistoso con le usanze millenarie di questa frazione, fu determinato dalla realizzazione dell’acquedotto nel 1962 – 1963. Fino ad allora era stato un continuo, incessante, via vai di donne, ragazze, bambini, qualche raro uomo, dal paese alla Fontana. Donne e ragazze con sulla testa orci pieni d’acqua o ceste di panni lavati o da lavare. Con l’arrivo dell’acqua in paese, la processione s’interruppe quasi di colpo. Il decennio 1956 – 1965 cambiò in modo radicale il volto di Serra e non solo di Serra. In questo periodo la popolazione si ridusse ad appena un terzo, fra trasferimenti e partenze spontanee. Gli scolari delle elementari, che nel 1956 erano oltre 50 con quelli di Tornano, diminuirono di anno in anno, fino alla chiusura della scuola nel 1981. Dopo questo periodo, continuarono ancora le partenze, più rare nel tempo e con destinazione più vicina. Ci fu anche qualche raro e sporadico ritorno. Attualmente non raggiungiamo il numero di 40 abitanti e nel breve periodo è da escludere un ritorno.

In questi anni però il paese si è messo un vestito nuovo: un po’ alla volta, anno dopo anno, le case che erano delle vere catapecchie, sono state quasi tutte ristrutturate. E anche per le altre c’è un piano di risanamento. Adesso abbiamo un paese ordinato ma vuoto. Si rianima solo in estate: d’agosto. Ed è bello vedere, almeno per poco, rifiorire gli antichi splendori: si torna indietro ed è come rivivere un po’ la propria storia.”

Negli ultimi anni il lavatoio e la Fontana sono stati ripristinati come simbolo del passato. Fino al 1963, periodicamente qualche ragazzo o qualche adulto si occupava di pulire la fontana e il lavatoio, passando poi dalle singole famiglie a chiedere la mancia.

Molte donne nel dopoguerra andranno a fare la stagione in riviera, lavorando sodo.

Ed è proprio così: Serra, come Montepetra, o Capanne, o Castelpriore, sono paesi in cui la gente torna in estate avendo una seconda casa: magari la casa d’origine restaurata, o un’altra casa acquistata nel tempo a poca spesa. E don Giuseppe fu, per decenni, riferimento per queste persone che tornavano e ritrovavano ad aspettarle il parroco che aveva loro dato il Battesimo, o la Prima Comunione, o li aveva sposati. Veniva così ricomposta quella famiglia di famiglie che il tempo e le condizioni avevano disgregato. Anni fa a Serra veniva organizzata la festa del “Serragosto” ma ora, per quanto sappiamo, tale manifestazione è cessata di vivere (spesso i grandi non hanno le forze, e io giovani la voglia per lavorare alle feste).

 

Prima di don Giuseppe, gli ultimi due parroci furono don Luigi Borghesi (nato nel 1872 e morto a Serra il 23 gennaio 1953) e don Giuseppe Cenci (nato a Sassofeltrio nel 1924 e morto a Fratte nel 1999), che rimase parroco due anni (1953 – 1955).

 

 

 

 

Il giorno del funerale, nella chiesa di Savignano di Rigo, il sottoscritto leggeva questo necrologio da lui composto: “Don Giuseppe, originario di Massamanente di Sogliano, piccola comunità che guarda Montetiffi, è nato il 7 giugno 1931. Avvertita la chiamata del Signore fin dalla fanciullezza, nel 1942 inizia gli studi nel Seminario di Faenza. Dovendo abbandonare il luogo durante il fronte, nel 1944 si sposta a Pennabilli dove continua gli studi nel Seminario Diocesano, passando nel 1947 al Seminario di Fano, dove si recavano i seminaristi di Pennabilli. Viene ordinato sacerdote da Mons. Antonio Bergamaschi il 29 giugno 1954 e subito è destinato a San Leo come cappellano. Nel 1955 viene a mancare il parroco a Serra: chi, meglio di don Giuseppe che è della zona, può prendere il suo posto? Il Vescovo gli affida la sua prima parrocchia e don Giuseppe, entrando il 18 dicembre 1955, vi si trova subito bene vista la vicinanza al luogo di origine con stessa mentalità, parlata e abitudini. In quel momento a Serra ci sono 340 persone. Ma la gente, purtroppo, inizia a spostarsi verso il riminese e, nel 1961 gli viene affidata anche la parrocchia di Tornàno, perché il parroco don Elio Masi, ancora giovane (morirà nel 2008) se ne va non essendo più necessaria la presenza di due preti così vicini per due greggi che stanno diminuendo a dismisura. Non è solo, don Giuseppe, a Serra: la sorella Anna sceglie di restare con lui, senza sposarsi, per servirlo tutta la vita con una dedizione veramente esemplare, a lei vanno le nostre più sincere e sentite condoglianze. Nel 1977 Serra e Tornano, essendo del comune di Mercato Saraceno, dalla Diocesi del Montefeltro passano sotto quella di Sarsina. Don Giuseppe, non volendo abbandonare le sue comunità, essendo sacerdote della diocesi del Montefeltro, passa sotto la Diocesi di Sarsina. Nel 1975 gli viene affidato anche l’incarico di parroco dell’abbazia di Montetiffi, della diocesi di Rimini, il quale altare del 1120 è dedicato a San Vicinio. Qui presterà servizio fino al 1985 quando, venuto a mancare don Sacchetti parroco di Savignano di Rigo, don Giuseppe è chiamato a servire altre tre comunità: Savignano di Rigo della diocesi di Rimini, Miniera e Ugrìgno della Diocesi di Pennabilli. Nel 1990 gli viene affidata anche la comunità di Rontagnano, la più popolosa tra quelle servite da don Giuseppe. Nel 2008 viene colto da malattia e deve iniziare la dialisi, tre volte alla settimana. Non può più reggere il peso di 6 parrocchie e continua il servizio nelle sue due prime parrocchie, Serra e Tornano, ridotte a poche decine di abitanti. Di carattere gioviale e genuino, ha fatto del bene nelle nostre montagne, don Giuseppe. È stato, prima che un sacerdote, un padre, un fratello, un amico per i parrocchiani che tanto amava. Appassionato per il lavoro del legno, negli anni si era costituito una vera e propria falegnameria, anche con l’aiuto del fratello falegname residente a Santarcangelo. Tante case dei suoi parrocchiani sono protette dalle porte e dagli scuri di don Giuseppe, così come le sue chiese. Ha sempre avuto una cura particolare per le sue quindici chiese, le ha restaurate più volte in 56 anni di permanenza in parrocchia, con sacrifici personali notevoli, lasciandocele tutte rinnovate, ordinate, consegnandole a noi come il tesoro della sua vita. Si è spento al Bufalini di Cesena il 2 gennaio 2012”.

In un biglietto che scrive a Suor Celestina Turci poco tempo prima di morire (tale lettera è esposta in quadrini nelle sue chiese) don Giuseppe scrive: “La mia vita è ad un bivio. La malattia che mi rode ha sempre maggior vigore. Facendo una riflessone sul mio passato di sacerdote ho qualcosa di cui pentirmi e qualcosa di cui vantarmi. Ho cercato di inculcare la Parola di Dio ai grandi e ai piccoli, ho messo mano a 10 chiese e canoniche salvandole da morte certa. Le ho messe al sicuro”.

L’anziana sorella di don Giuseppe, Anna, custode della chiesa e canonica, ancora oggi abita sul posto conservando libri e cose di don Giuseppe nella canonica, abitazione caratteristica e con alcune tavelle dei soffitti colorati, oltre che un disegno dei primi del ‘900 all’ingresso della discesa per la cantina. Bellissimo il terrazzo sulla valle, dal quale don Giuseppe ammirava la valle dell’Uso e Massamanente, suo paese d’origine.

Ora nel paese ci abitano 22 persone, e 10 nel borgo.

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