Giornata del malato. Le testimonianze dei coniugi Del Testa: “La malattia di nostra figlia è stata una preferenza”

Anche in Diocesi di Cesena-Sarsina oggi si è celebrata la XXXII Giornata mondiale del malato, celebrata da Giovanni Paolo II per la prima volta il 13 maggio 1992. 

Nella chiesa di San Domenico, piena di fedeli, hanno portato la loro testimonianza i coniugi Alessandra e Stefano Del Testa. A una delle loro due figlie, Sara, nell’estate del 2021 è stata diagnostica una malattia abbastanza seria che ha richiesto un lungo ricovero in ospedale, per la più a Ravenna. A seguire il vescovo Douglas ha celebrato l’Eucaristia (foto in alto di Pier Giorgio Marini). 

Di seguito pubblichiamo i testi dei loro interventi. 

Il primo è stato quello di Stefano Del Testa (nella foto sotto). Ecco il suo scritto. 

Mi chiamo Stefano e per raccontare come sono stato di fronte alla malattia di mia figlia Sara, parto da una serie di domande che continuano a essere aperte e stringenti da almeno due anni a questa parte:

chi sono io? di chi sono? in che cosa consisto?

Non rispondo subito, in primo luogo perché sono domande che voglio e desidero rimangano aperte. In secondo luogo perché l’esperienza che proverò a raccontare credo sia un tentativo di risposta, non definitivo, ma comunque un tentativo.

Due anni fa, a mia figlia Sara, 19 anni, è stata diagnosticata una leucemia acuta: ricordo ancora il tragitto da casa mia all’ospedale: ero da solo, mia moglie era al Pronto Soccorso con Sara, eppure già in rapporto con un Altro, un rapporto centrato su un NO su tutti i fronti, (otto mesi prima avevo perso mio fratello), pensavo di aver già dato… Eppure lì è iniziato il mio cambiamento, è iniziata la più impensabile delle preferenze, anche se solo adesso ne ho piena consapevolezza.

È stato un cammino fatto di fatica, di cadute, di incontri. Un cammino prima di tutto accettato e poi sorprendentemente amato. La malattia di Sara non solo ha cambiato lei, che ha trovato tre case nel rapporto con i medici e gli infermieri, nel rapporto con i Quadratini e la Messa quotidiana xon don Eugenio Nembrini e con gli amici del Clu in università, (il primo anno lei lo ha fatto in ospedale), ma ha cambiato il rapporto con mia moglie e più in generale ha cambiato il mio modo di stare alla realtà e di vivere l’esperienza cristiana.

Quando parlo di preferenza mi vengono in mente le parole di Vittoria Sanese, da pochi giorni salita al cielo e con la quale ho lavorato per più di 15 anni nella mia equipe educativa. Mi telefonò con la sua voce stentorea e piena di certezza e mi disse che, quando il Signore fa vivere queste esperienze così faticose, è per una sovrabbondanza di stima che ha per noi, insomma una preferenza. Fin da subito mi è parso chiaro che da solo non potevo andare da nessuna parte.

I primi giorni in cui Sara è stata ricoverata a Cesena, prima di essere trasferita in ematologia a Ravenna, non facevo che piangere e nulla poteva confortarmi. Poi il Signore ha preso l’iniziativa con un fatto in apparenza banale. All’uscita dall’ospedale, incrocio una mia collega, in macchina, che mi aveva telefonato perché desiderava abbracciarmi. Certamente quell’abbraccio è venuto dall’Alto, la carezza del Nazareno come la definirebbe Jannacci, perché subito ho sentito il bisogno di chiamare mia moglie proponendole di mangiare insieme: volevo stare con lei. Sembra tutto molto banale, ma per me pensare di aver bisogno, totalmente bisogno di mia moglie, io che sono abituato ad affrontare tutto “lancia in resta” ma da solo, è stato improvvisamente ammettere che lei, per me, era un dono, e mi era stata data da un Altro e siccome questo Altro non sbaglia, era sicuramente la persona migliore che mi potesse mettere accanto. Da quel momento il rapporto con Alessandra è diventato un tutt’uno, una unità prima di tutto con Chi ce l’ha dato, una unità che si è riverberata su di noi, che ha contagiato anche Sara e quelli che ci sono stati attorno in questi anni.

Mi ha colpito molto, in quei mesi, l’assenza di recriminazioni, di astio, il non piangersi addosso perché eravamo tutti tesi a vivere intensamente il reale, a vivere il qui e ora, a gustare ogni giornata senza perdere troppo tempo. L’andare tutti i giorni a Ravenna, sfidando il gelo e la nebbia, senza poter entrare in ospedale, ma comunicando con Sara da una finestra e col cellulare, era diventato nel tempo un momento decisivo per noi. Era più semplice e comodo fare una videochiamata da casa, Sara spesso non poteva nemmeno alzarsi dal letto e quindi non la vedevamo, ma noi eravamo lì, sotto la sua finestra, per dieci minuti, mezz’ora, eravamo lì… Quel viaggio si è trasformato in un’occasione per noi, lo facevamo per noi. Molti di questi viaggi a Ravenna erano pieni di silenzio, un silenzio però abitato dalla Presenza di un Altro.

 

Può sembrare paradossale ma un‘intensità del reale così vissuta, non solo ci ha unito, ma ci ha portato più di una volta a dire che non cambieremmo nulla di quello che ci è successo. Certo, la paura è tanta, i momenti di sconforto ci sono ancora, ma le domande con le quali ho iniziato questo racconto, pur rimanendo aperte, lasciano intravedere una risposta.

Chi sono io? Di chi sono? In che cosa consisto?

La mia consistenza, di sicuro, non è in quello che so fare, (fosse anche lo stare in piedi difronte a quello che mi è capitato), non è nemmeno negli incontri che mi hanno letteralmente cambiato.

La mia consistenza è nell’essere di Qualcuno, nell’appartenere a Qualcuno, perché in fondo l’esperienza cristiana si può sintetizzare in tre sole parole: Io sono Tuo. E il mio desiderio, adesso, è di permanere in questa appartenenza. 

Stefano Del Testa

Il secondo intervento è stato quello della moglie di Del Testa, Alessandra Casadei. Ecco di seguito il testo del suo intervento. 

Quando nel 2021 hanno diagnosticato la leucemia a nostra figlia, non avrei mai pensato, che quel giorno, al Pronto Soccorso la dottoressa mi pronunciasse quella malattia, pensavo si trattasse di una grave anemia.

Mi sembrava tutto impossibile e ho chiamato subito mio marito perché non volevo essere sola.

Proprio davanti agli occhi di Sara e alla serietà con la quale ha aderito, da subito, alla realtà così come le si presentava davanti, nella malattia, ho percepito che ero chiamata a qualcosa di più grande di me e ho capito che da sola non sarei riuscita a sostenere tutto questo.

La realtà così dura piombataci addosso senza preavviso mi ha dato la possibilità di guardare in faccia tutta la mia famiglia, proprio perché ognuno di noi, anche mia figlia più grande, ha reagito in modo differente. Pur in una grandissima fatica che nessuno ha tolto, ci siamo guardati come mai lo avevamo fatto prima, e il rapporto con mio marito è diventato essenziale. Da quel momento vivere giorno per giorno è stato il nostro atteggiamento di fronte al quotidiano e con questo sguardo sulla realtà ho potuto vedere e toccare tutte le carezze del Nazareno che tante persone mi hanno fatto, pur nella drammaticità della vita. Il Papa ci dice nella lettera che ha scritto in occasione di questa giornata:

“Siamo creati per stare insieme, non da soli. Ricordiamo questa verità centrale della nostra vita: siamo venuti al mondo perché qualcuno ci ha accolti, siamo fatti per l’amore, siamo chiamati alla comunione e alla fraternità”.

Tanti amici ci hanno accompagnato e sostenuto nella preghiera, questa condivisione, non è stata la pacca sulla spalla, ma la certezza che Cristo vince, anche nelle situazioni più impensate, se ci lasciamo fare da chi ci vuole bene. Penso a mio cognato Vincenzo che nella malattia ci ha testimoniato una fede certa, tutto proteso a Lui fino all’ultimo e le persone incontrate attraverso Sara nell’associazione “Quadratini & Carità” ammalati gravi, che affidando le loro sofferenze nella messa quotidiana, testimoniando al mondo che si può vivere, anche la malattia, senza essere disperati.

Tutto questo ha fatto sì che, né io né mio marito, quando abbiamo appreso della malattia di Sara, non fossimo arrabbiati e tutti e due PER GRAZIA, abbiamo guardato nello stesso punto, dando credito a tutta la nube di testimoni che Gesù ha messo nel nostro cammino.

Non è che non litighiamo più o non ci sono scontri in famiglia, ma ho più chiaro che io sono Strumento per mio marito e lui per me, per riconoscere che Cristo vince ogni nostra paura.

Sembra assurdo dire che mi ritrovo a piangere per questa sovrabbondanza di bene che mi viene incontro e sembra assurdo dire che non tornerei indietro. Certo vorrei che mia figlia guarisse, ma questa intensità nel guardare il reale è il regalo più bello che il Mistero potesse farmi, nella fatica il Signore ti dà e ti senti preferito. 

Alessandra Casadei

IL VIDEO: httpss://www.facebook.com/100042344000815/videos/1637337867019733

Resta aggiornato iscrivendoti al canale WhatsApp del Corriere Cesenate. Clicca su questo link