La storia della parrocchia di Ruscello, ultimo lembo di Bagno di Romagna

Vogliamo portare in evidenza, questa settimana, sempre per dar voce a chi non l’ha mai avuta, la storia della parrocchia di Ruscello, ultimo lembo del comune di Bagno di Romagna, ma ubicato sui monti che si innalzano sopra Sarsina. Scrivo questi appunti quasi per dovere; per non dimenticare la storia delle nostre comunità millenarie; per ricordare persone e sacerdoti che qui hanno vissuto la loro vita, lontano dalla storia ufficiale che troviamo nei libri. Anche come per molte piccole realtà, non esiste bibliografia sull’argomento, solo qualche articolo del sottoscritto realizzato negli anni.

Ruscello è collocato su un pianoro che si incontra in modo inaspettato. Arrivandovi da Careste, dopo aver percorso il crinale, la strada inizia a scendere e appaiono bellissimi campi verdeggianti dove la nostra vista si posa su un cumulo di ruderi abbandonati posati là in un campo. Ciò che si nota subito è il campanile originale, ancora in buono stato, che anche se non fa udire più la sua voce, è comunque ancora segnale. Indica che quelle macerie erano un luogo sacro. Venendo da Valbiano, invece, dopo chilometri che paiono infiniti tutti posti in piano, si oltrepassa un piccolo ponticello e la strada inizia a salire, facendo molti tornanti, fino a giungere in vetta dove si trovano i già ricordati campi, che aprono l’orizzonte al viandante che esce dalla città per andare a cercare un po’ di pace, forse anche per cercare se stesso.

Da dove ha origine il nome “Ruscello”?

“D’un ruscelletto, che nel luogo scende, con acque fresche, chiare e sassi avvolge, nel corso che prosegue, e forte pende, Ruscello ha un nome…” questa può essere l’interpretazione più autorevole. Ma, potrebbe anche derivare il nome dagli alberelli, chiamati volgarmente Ruscelli, che anche ora fanno da contorno alla chiesa parrocchiale.

Il castello ha visto le sue origini sotto le dipendenze del Vescovo di Sarsina. Il potere temporale ha avuto diverse fasi, che non si collegano del tutto con l’attuale parrocchia, perché, in origine, la sede parrocchiale era ubicata su, alla rocca di Facciano. Qui il Conte di Bobbio teneva una guarnigione di soldati, per la custodia e difesa dei confini del suo territorio. Quando sia sorto con esattezza questo fortilizio non ci è dato di saperlo, ma possiamo dedurre la sua esistenza dopo il secolo VIII. Nel 1235 il Vescovo di Sarsina, Rufino II, compera il fortilizio di Facciano, per scudi ravennati 272, da Tiberio di Riopetroso. Gregorio XI invia lettere a Federico Imperatore dal titolo: “Gratum Deo” e anche al popolo Sarsinate: “Cum Matri vestrae”, perché sia liberato il Vescovo Rufino dalle gravissime vessazioni di Tigrino e suo figlio Guido, conti di Modigliana. Questo sventurato Vescovo, fatto prigioniero, finalmente viene messo in libertà ed è allora che ha modo di fare acquisto della fortezza di Facciano. Dalla Relazione della Visita Pastorale del famoso Vescovo di Sarsina, Angelo Peruzzi, eseguita nel settembre del 1589, si desume che in quel tempo la sede parrocchiale era ancora su a Facciano, e in Ruscello, poco sopra dove si trovano i ruderi della chiesa parrocchiale, c’era un semplice oratorio. Ancora oggi la località si chiama Chiesa Vecchia, ed è sulla curva della strada carrozzabile da cui, anche oggi, parte il sentiero che va a Facciano, poco sopra al cimitero.

Nel 1302, cominciando a accentuarsi le contese, Antonio, Vescovo di Sarsina, il 2 di giugno, dà ordine di rafforzare le guarnigioni militari della rocca di Facciano, disponendo per difendere militarmente i suoi territori dalle invasioni nemiche. Ciò nonostante la fortezza di Facciano viene presa e smantellata dai dipendenti del celebre capitano Uguccione della Faggiuola. I ruderi dell’antico castello, con la rocca di Facciano, situata a 903 metri sul livello del mare, stanno a dimostrare quanto fosse grande in quelle epoche l’importanza di questo luogo di confine, fra la Contea di Bobbio, dove governava il Vescovo di Sarsina, e le altre dominazioni. Verso il 1402 i Fiorentini si rivolsero con le loro armi contro i conti Guidi di Bagno, i quali furono sconfitti nel 1404. Da questo tempo ha origine la dominazione fiorentina, costituita in Repubblica. Nel 1454, il 9 di marzo, vengono stipulati gli Statuti del Comune di Bagno di Romagna, e fra gli altri è nominato Tonio di Egidio per la frazione di Facciano, ora Ruscello.

Su Ruscello si eleva, come gigante dalle ciclopiche membra, assai disuguali, il Monte di Facciano, che nelle sue misteriose leggende di fate e fauni, col diroccato castello più non minaccia, ma solo ricorda un passato di potenza. Scomparso il fortilizio, è tradizione che sul luogo sia esistito un convento di Francescani. Questo fatto per ora è documentato dall’esistenza di un cimitero nelle adiacenze di Facciano, già demolito nella prima metà del ‘900, ma che ha analogia con la vicinanza alla Verna.

La prima notizia di Ruscello si ha nel 1138, anno in cui fu donato dal Vescovo Divizone il territorio del piccolo oratorio ai canonici della Cattedrale Sarsinate. Donazione confermata nel 1182 da Papa Lucio III.

Il 9 novembre 1603, dal Vescovo di Sarsina mons. Nicola Brauzi, viene consacrata la nuova chiesa, situata a 670 metri s.l.m. avendo la parrocchia 28 famiglie e 119 abitanti. Questa sarà la chiesa in uso, fino al 1967.

Nel 1676 era parroco del luogo don Biagio Giorgi, e la parrocchia contava allora 20 famiglie con 100 abitanti in tutto. Il territorio parrocchiale era fino a tale epoca ben determinato, e confinava con le parrocchie di Careste, Bucchio, Valdagneto, Sajaccio, Quarto, Rullato.

Dalla relazione della Visita Pastorale di Mons. Giovan Battista Braschi del 1709, risulta che l’antica chiesa di Facciano è caduta ed è stata ricostruita in località Ruscello, dove vi abita anche il sacerdote.

Qui il Vescovo Nicola Casali, accusato di furto alle prebende parrocchiali della sua Diocesi di Sarsina, vi trova rifugio dal dicembre 1797 al marzo 1798.

Nel 1840 Leopoldo II dava ordine di ristrutturare la chiesa, costruita in linee semplici e severe, pavimentata con lastroni ricavati da cave del luogo. Dal 1850 al 1908 Ruscello, facente parte del Granducato di Toscana, passa alla Diocesi di Modigliana e diventa sede di Vicariato. Nella sacrestia della Cattedrale di Sarsina è ancora conservata una stola dorata con la data 1908 e la scritta “Vicariato di Ruscello”.

Nei primi del ‘900, viene aperta la scuola nella canonica di Ruscello. Ed è per questo che vengono create due nuove stanze dietro l’abside piano della chiesa: sotto la sala per le lezioni ai bambini, e sopra la camera della maestra, che andava ad abitare lì in canonica. Era stato creato un prolungamento della canonica, ricavandone due grandi stanze, una sopra una sotto. Si nota che questo stabile è più recente rispetto al resto perché ha il soffitto in travi in cemento armato “Varese”, mentre il resto della canonica ha (o meglio dire aveva) le travi in legno.

In una lettera del giovane parroco di Ruscello nel 1944, leggiamo che “la chiesa ha sofferto danni a causa di azioni belliche tra truppe germaniche e armate inglesi. La casa parrocchiale è resa inabitabile, e il mobilio in essa esistente è stato manomesso. Per qualche tempo sono dovuto esulare. Ora sono ritornato al campo di apostolato. Qui, sul poggio, non fiorisce il mughetto, non canta la capinera; ma non mancano altri uccelletti, nunzi di primavera. Il caroto ruscello, che lambisce tutto il versante del paesaggio, e la popolazione, che si aggira sulle 150 anime, sa che il suo lavoro agricolo è speranza, certezza di quotidiano sostentamento perché dove il terreno avalla le messi abbondano, sono rigogliose, danno consolanti risultati”. Dopo un momento di forte crisi e ripensamenti, dati anche dalla solitudine del luogo e dal sottosviluppo avendo solo 150 parrocchiani in gran parte abitanti lontano dalla chiesa, il giovane parroco nel 1945 lascerà l’abito e sposerà cristianamente la giovane maestra, trasferendosi lontano, formando una numerosa e bella famiglia e vivendo insieme fino alla morte. Per rispetto alla delicata situazione, e visto anche il tanto tempo ormai trascorso, non forniamo nomi o altri particolari. 

Arrivò al suo posto, penultimo parroco, don Ciro Macrelli, nato a Mercato Saraceno nel 1917, che fu parroco tre anni, dal 1945 al 1948. Poi si incardinò alla Diocesi di Rimini, andando inizialmente per 4 anni parroco a San Paolo in Brasile e poi, rientrando, svolse vari incarichi a Sant’Arcangelo, Vallecchio e dal 1965 parroco a San Giovanni in Bagno presso Torre Pedrera, dove morì a 98 anni nel 2015. Un prete ricordato per la passione per la musica, è stato grande compositore oltre che scrittore, il cui testo più famoso è senz’altro “Personaggi del giorno”. Negli anni precedenti alla permanenza a Ruscello, don Ciro è stato parroco un paio di anni a Sapigno-Romagnano e io ho avuto modo di conoscerlo alla festa del lunedì di Pasqua a Romagnano perché, fino all’anno della sua morte, don Ciro vi partecipava sempre nel pomeriggio e qui mi ha raccontato alcune cose su Ruscello, sulla solitudine che si viveva in quel luogo, e sulla fatica che fecero a portare su quel monte, privo di strada, il suo pianoforte a coda. Un’impresa incredibilmente difficile.

 

Nel 1948 arriva l’ultimo parroco residente, don Francesco Castellani, appena diventato sacerdote, originario di Montecastello. La parrocchia è ancora popolata (si fa per dire, 140 persone…) e quasi tutti partecipano alla chiesa. La gente è semplice, di sani principi cristiani, lontano dagli influssi politici (nessun candidato saliva lassù per fare propaganda politica, e portare idee di città, non essendoci la strada). C’è in qualcuno il vizio del bere, cosa normale a quei tempi, e in certi posti rimane anche oggi, specialmente in montagna. Dal 1954 si intensificano le partenze e la parrocchia si dimezza bruscamente in un anno. Le famiglie, caricando inverosimilmente carri tirati da animali con masserizie, sedie, pentole, casse, mobili, scendono dalla montagna a fatica, andando a stabilirsi in più comodi poderi o in città per il lavoro nello stabilimento. Qualcuno mi raccontava che passarono, in quegli anni, vari padroni del cesenate che facevano proposte concrete ai contadini invitandoli a vedere il loro podere, per poi prendere la decisione radicale di abbandonare il patrio suolo.

Un camion in affitto li attendeva a Valbiano dove arriva la strada e qui vi caricavano tutto il materiale portato giù lungo i sentieri con le loro bestie; era la storia di una vita, di secoli di vita. Quasi tutti, raccontando della loro partenza quando erano bambini, raccontano di aver vissuto un trauma. Un viaggio di lacrime lasciando i posti cari, gli usi, le abitudini, per andare verso l’ignoto.

 

Da Ruscello i più vanno a Cesena, o Ravenna, o attorno o in centro a Sarsina. Per molte famiglie fu difficile l’inserimento nelle nuove realtà; anche solo a Sarsina, quelli che venivano da Careste o Ruscello erano considerati i montanari, forse un poco disprezzati, anche per la diversa parlata, con accento toscano

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Talvolta, nelle innumerevoli volte in cui seppur nella mia giovane età sono salito a Ruscello, mi sono affacciato alla soglia di qualche abitazione, contemplando cosa era rimasto: qualche rudimentale giocattolo, il grande focolare annerito, qualche vestito stracciato, uno scarpone chiodato per l’inverno. E meditavo. Ecco cosa resta dell’uomo: fatiche, amori, dolori, sogni… poi il tempo tutto livella e annienta, come vento che cancella le orme sulla sabbia. Cosi, quelle case pian piano crollano, senza porte e finestre, e restano come nudi teschi, testimoni di una vita che fu.

 

La vita della comunità parrocchiale seppur in continua veloce diminuzione va avanti regolarmente fino all’ottobre 1956, quando il parroco don Francesco Castellani, è ridotto quasi solo, passa le giornate in preghiera. L’anno prima, nel 1955, era partito anche il giovanissimo don Pompeo Zaccheroni dopo solo un anno di permanenza a Careste, perché in quell’anno 1954 – 1955 ci fu una terribile emigrazione. I parroci di Careste e Ruscello avevano molti momenti in comune in occasione degli uffici funebri, che erano vari ogni settimana, motivo di incontro dei sacerdoti. Quindi partendo nel 1955 il parroco da Careste, don Francesco Castellani rimase isolato anche dai contatti con il presbiterio. Il Vescovo Bandini capì la situazione e dopo 8 anni trasferì il sacerdote, che aveva 34 anni, e lo fece parroco a Bacciolino dove rimase fino alla morte nel 2011. Dall’ottobre 1956 prese il servizio il fratello don Renato Castellani, dapprima residente a Turrito nella canonica poi, dal 1958, diventato parroco di Valbiano, si trasferì in quella canonica e continuò il servizio a Ruscello al posto del fratello, andandovi a dire messa alla domenica e nelle festività. Fin dove si poteva, don Renato saliva con il motore, continuando poi a piedi. Grazie all’interesse del sacerdote si potè aprire la strada Valbiano – Ruscello nel 1966. Ci resta un piccolo articolo di giornale che ne parla. Ma, ahimè, era troppo tardi. Nel 1966, da come leggiamo nel Questionario della 3° Pastorale di Mons. Bandini, c’erano rimaste 3 famiglie con un totale di 6 uomini e 3 donne. E alla messa, celebrata alle 11 del mattino, vengono in genere 3 donne e 3 uomini. Ci sono però altre famiglie “buone, democratiche, possidenti appartenenti alla già chiusa chiesa di Careste, che frequentano la chiesa di Ruscello. Altre 2 invece, essendo di Careste ma molto lontane, frequentano la parrocchia di Rullato”. Il Vescovo Bandini si reca per l’ultima volta a Ruscello il 21 agosto 1966 per la citata visita Pastorale. Sarebbe stato interessante leggere la relazione del Vescovo, il racconto delle sue impressioni, ma non è stato trovato nell’archivio. Forse è andato perduto, o forse non è mai stata scritto. Dopo la partenza di queste 3 famiglie avvenuta poco dopo, forse facilitate anche dalla nuova strada, la chiesa venne chiusa nel novembre 1967 dopo la partenza della famiglia di Lorenzo Facciani di Pian di Meglio, che apparteneva a Careste ma negli ultimi anni frequentava Ruscello appunto perché la chiesa di Careste era già stata abbandonata.

 

Qualche centinaio di metri prima della chiesa c’era il villaggio di Ruscello, dove c’era anche una piccola chiesa privata, della famiglia Neri, dedicata a San Biagio e costruita nell’anno Giubilare 1800. Di questo borgo, del quale non ho mai visto fotografia, non rimangono neanche le pietre perché venne abbattuto dal Demanio, dopo averlo acquistato, con dinamite nel 1970. Stessa crudele sorte ebbero altri borghi, tra cui quello di Strabatenza.

Preziosissime sono le lettere di Antonio Corbara di Castelbolognese, il primo che fece il censimento delle opere d’arte nella Diocesi di Sarsina dal 1960 al 1967.

Il 9 ottobre 1967 Corbara scrive a Don Mino, responsabile dei Beni Artistici della Curia di Sarsina: “Ho l’impressione di un certo “allentamento”, ho notizie di vendite incontrollate ecc. So che a Mangano sono state rubate la campana e il quadro. A Ruscello tutto è abbandonato e in pericolo. Prego provveda: andrò a Ruscello appena possibile.”

In quelle settimane Corbara andò a Ruscello, accompagnato dal parroco don Renato Castellani, per fare il censimento.

Il 26 ottobre 1967 Corbara scrive al vescovo Bandini: “Ecc. Rev.ma, nei giorni scorsi mi sono recato col Parroco, da Valbiano alla chiesa ormai abbandonata di Ruscello.

Urge provvedere al ritiro delle due campane, una delle quali è antica e di notevole interesse, come raro pezzo, anzi il più antico che si conosca, della fonderia di Ranchio, dei Santini, del sec. XVI. L’altra è del secolo passato, ma segnala la presenza in Diocesi di una fonderia della Valsesia (altri pezzi a Montepetra).

Vi è inoltre (ora in chiesa a Valbiano) una bellissima e importante Croce di bronzo del rinascimento, di cui si conosce solo un altro esemplare a San Giovanni in Galilea, già segnalata sin dal 1916 dal Gerola. Sul posto infine vi è un mobile rustico, a genuflessorio armadietto, in serie, in legno di castagno, forse del seicento, di fattura non spregevole, che potrebbe essere benissimo adattato in qualche ambiente del Seminario, come custodia di libri o altro.

Oggetti minuti li ho ritirati e portati a Valbiano (come un gioiello della statua della Madonna, una navicella del ‘600 ecc.). Anche a Valbiano ho identificato altre buone cose, gli darò l’elenco descrittivo. E’ necessario trovare il modo di custodire simili pezzi, o presso chiese funzionanti o con un deposito inventariato in Curia. Mi affido a lei. Però nel contempo la prego, di provvedere, sulla base degli elenchi già redatti, alla verifica degli oggetti sparsi nelle parrocchie, e al continuo ritiro di quelli che sul posto non servono più e si trovano in pericolo: penso ad esempio a cosa avverrà a quel remoto santuario di Montegiusto, dove vi è una bellissima campana del ‘500 e altre cose che Lei conosce, oltre a tele anneritissime che non si poterono esaminare causa l’altezza. Il lavoro già fatto, come sa, è stato molto: ma bisogna portarlo a termine, cono un assetto di tutela definitivo. I furti come sa continuano: mi dicono che all’oratorio del Mangano è stato portato via tutto, campana, quadro. Io farò qualche altra ricognizione, ripassando man mano nei luoghi già percorsi, prenderò fotografie, farò altre schedature, ma occorre che la Curia intensifichi l’azione di tutela, ora che il compito è più facile. 26 ottobre 1967”.

Corbara, che testimoniava un amore a questi luoghi e alle opere d’arte, testimonia di averle a cuore. E infatti, in un’altra lettera dopo circa 40 giorni, torna sull’argomento: “Eccellenza, ha fatto ritirare le campane (o almeno una, quella del ‘500) da Ruscello, e i bell’appoggiatoio-stipo ivi nell’abside, che si potrebbe convenientemente adattare in qualche sito del Seminario?

Un altro accenno, in una forte e accesa, lettera del dott. Corbara alla Curia di Sarsina del 25 febbraio 1969, all’indomani del furto della campana di Montalto: “Con mio pianto e di fronte alla tragica situazione delle rapine sistematiche cui loro sono oggetto, lei mi da notizie sempre peggiori. Ma portino gli oggetti più maneggevoli dentro al Vescovado, o in una stanza apposita del Seminario nuovo. Fissino al muro tutto quello che si può fissare, come pure a Montesorbo, dove chissà cosa succede.

E a Mercato, dove c’è chi mi riferisce cose sconsolanti, manomissioni impietose e incontrollate – cui si dovrebbe e si potrebbe sempre dare consiglio specie in epoca dove tutto vien contestato – e dove è già scomparsa roba in S. Maria della Vita, munita di una esile serratura che un bimbo può far saltare.

Si provveda a controlli, ora facilissimi visto le schede che ho fatto! Altrimenti cosa abbiamo corso alla disperata, ed elencato, a fare, se non per la vostra dignità e decoro; di Chiesa di Popolo? Non certo dei ladri.

Tenga attive giorno per giorno sul tavolo le schede, e intanto veda a Giaggiolo cosa è successo, dove quasi certamente devono aver imbrogliato il parroco sostituendogli il Crocifisso del trecento. E la Croce di Ruscello, di cui solo due esemplari in tutta la Romagna, che trovai là abbandonata?”

Ma, sia le campane sia il bel coro dell’abside, sparirono. Sembra che la Curia non ascoltò prontamente l’invito del Corbara. Nessuno fece nulla. Qualcuno mi narrò come andarono le cose, ma non avendo prove non lo mettiamo per iscritto.

Ci restano alcune foto di Ruscello: alcune del 1949, dove si vede la facciata della chiesa e il retro della chiesa e della canonica.

Più alcune foto del 1967 realizzate da Corbara nella sua visita, in cui ritrae l’esterno della chiesa e le campane da vicino.

Cosa vide Corbara quel giorno a Ruscello, nell’ottobre 1967?

  • Campana minore, in bronzo di forma comune tarda, che era munita di corona a 3 anelli: l’epigrafe era disposta sul collare LAUS DEO 1871G. B. MAZZOLA FIGLI – FONDITORI – VALDUCCIA VALSESIA. Misurava: altezza cm 38 x diam 34. Scriveva nell’ ottobre 1967 l’estensore Corbara: “occorre rimozione dall’abbandonata chiesa”.

  • Campana maggiore, che era avvolta in una bella patina verde data dal tempo, misurava cm 54 x 43. Sul collare correva l’epigrafe: + IHS MARIA MDLXXII. Più sotto, nella marca, l’epigrafe PIER FRAN SANTINI DA RANCHIA ME F. Di lì a poco, da quell’ottobre 1967, le due campane sono andate perdute.

  • Croce astile in bronzo, elegantissima e rara, di forma latina, innestata su cannula con pomo sferico a doppio ordine di baccellature. Tale opera ha estremità quadrilobe, contenenti 4 rilievi delle mezze figure del Padre Eterno in alto, Madonna a sinistra, San Giovanni Evangelista a destra, la Maddalena in basso. Altri due quadrilobi sono posti nel punto di inserzione, e a metà del braccio inferiore. Sul rovescio non vi sono figure, ma solo ornati arabeschi, al pari dei tratti anteriori privi di figure. L’intero perimetro è contornato a giorno da una finitura di doppie volute, cioè una coppia per ogni tratto rettilineo, e una coppia su ogni vertice delle espansioni lobate. Vi è applicato innanzi il Cristo in bronzo. Arte rinascimentale, del XV secolo. Misura cm. 49 x 22. Il pomolo è spaccato equatorialmente, la doratura è alquanto deperita nel lato anteriore, un vertice in alto è spaccato. L’unica croce del tipo, in Romagna, si trova nella chiesa di San Giovanni in Galilea presso Borghi, ma è un po’ meno fine ed è impostata su piedistallo.Viene spostata a Valbiano e ora si trova al Museo Diocesano di Sarsina.

  • Ferro per far ostie, del sec. XVII, a doppia piastra rettangolare all’estremità di lungo manico. Una delle due piastre era incisa con due tondi includenti il Crocifisso. Misurava cm 68 x 14,5 x 8. Nel 1967 fu portato a Valbiano. Andato disperso.

  • Navicella per incensiere, in lamina di rame sbalzato su piedistallo circolare con bottoncini alternati a foglie; stelo sagomato con pomolo; contenitore a vascello appruato con punta, con fianco baccellato, e coperta munita di una cartella e di foglie. Il relativo incensiere non si è trovato. Del sec. XVII, misurante cm 12.5 x 20 x 10. Portata nell’ottobre 1967, a Valbiano e visibile in fotografia. Ora dispersa.

  • Nell’abside c’era anche un coro ligneo, propriamente detto genuflessorio, in legno di castagno, a lungo stipo prolungato ad angolo retto da una sola parte, suddiviso esternamente da lesenette scanalate in 7 tratti, cui corrisponde all’interno la parete inclinata con altrettanti sportelli e armadietti. Il margine inferiore esterno è a lievi ritagli. Del secolo XVIII. Altezza cm 84, spessore cm 47, lunghezza cm 315, profondità 164 cm. Era disposto dietro l’altar maggiore, sull’innanzi di un sedile con alzata centrale che vi si trovava, e che venne recentemente (si scrive nel 1967) esitato. L’estensore sottolinea che occorre rimuoverlo per custodirlo o in Curia o in Seminario a Sarsina. Anche di questo, come delle campane, se ne sono perse le tracce.

  • Tabernacolo in legno, con quattro colonnette disposte agli spigoli anteriori, del sec. XVII misurante cm. 55 x 47 x 38.

  • Padiglione processionale in marocchino rosso, fodera di seta, manico di legno duro con cannule di avorio. Del secolo XVIII, alto m. 1.30, è ancora conservato in sacrestia a Valbiano.

  • Vasetto ovale, con coperchio, in maiolica a smalto bianco, decorato a roselline, proveniente da Faenza, sec. XVIII, misurante 7 x 9 x 6 cm. E’ visibile nella foto degli arrendi della chiesa di Valbiano. Anche questo, ora, è disperso.

Aggiungo io due cose, non inventariate dal Corbara perché non di pregio: nell’altare laterale, unico altare oltre quello maggiore, c’era una statua della Madonna del Rosario, che ora non so dove sia finita, mentre nella nicchia sopra l’altar maggiore una piccola statua in gesso raffigurante San Mamante con il leone. Questa statua è ora conservata nell’armadio a muro della sacrestia di Quarto.

Nello stipite della parte posteriore della canonica, ancora in loco, si trova una pietra con graffiti puerili e la data 1853. Rimangono tutti i muri perimetrali, invasi da spini di ogni tipo. I soffitti e pavimenti della canonica sono tutti crollati, sicchè tutta la casa internamente è vuota. La canonica era una casa molto comoda, formata da due grandi stanze al piano terra, tutta la cantina sottostante, e due stanze al primo piano. Si aggiungeva poi, al primo piano la stanza per la maestra e sotto la stanza della scuola. I tetti sono crollati già da anni. Dietro la canonica c’era il forno e un piccolo pollaio, ancora visibili. Tutto lo stabile era molto maestoso, tutto costruito in sasso locale con gli stipiti e architravi in arenaria, ancora presenti. Alla cucina si apriva la porta per la chiesa. In chiesa, rimane un arco di mattoni, la nicchia dove era la statua di San Mamante e, sulla destra, la nicchia dove era la Madonna del Rosario.

La chiesa è ancora proprietà della parrocchia, inizialmente inglobata con la parrocchia di Valbiano; ora anche Valbiano è stata soppressa, e fa parte della parrocchia di Quarto. Tutti i registri parrocchiali si sono salvati, avendoli tenuti per oltre quarant’anni in casa sua don Renato Castellani fino a poco prima della sua morte.

Prenditi un po’ di tempo; vai a Ruscello; se passi da Valbiano fermati a bere la buonissima acqua alla sorgente della “Marianna”, un poco oltre alla chiesa di Valbiano. E immagina come era la vita in questi monti, con lo stesso silenzio e la stessa calma che puoi percepire ora se vai a visitarlo. E rifletti.