Dall'Italia
Libri. I nomi dal Medioevo a noi
Il volume di cui parliamo è scientifico e anche di piacevolissima lettura: chi vuole scoprire qualcosa su un aspetto importante della nostra identità non ha più scuse
È di grandissimo interesse il volume appena pubblicato dalla casa editrice fiorentina Olschki, “L’anima medievale nei nomi contemporanei”, redatto da Enzo Caffarelli. La recensione.
I nomi del Medioevo e noi
Difficile trovare un elemento più identitario del nome. Il nome di una persona rivela moltissime cose: più o meno, dove vive, quali sono le ideologie della sua famiglia, quali sono le memorie storiche, familiari o collettive, di cui è imbevuto. Ognuno di noi, nel mondo, è accompagnato da un nome che è stato scelto per noi prima della nostra nascita, per i più svariati motivi. Dato che è qualcosa che riguarda tutti noi, è perciò di grandissimo interesse il volume appena pubblicato dalla casa editrice fiorentina Olschki, “L’anima medievale nei nomi contemporanei”, redatto da Enzo Caffarelli.
Lungo Medioevo
Parlare di Età di mezzo significa, quasi sempre, dover sfatare dei miti: età dell’oscurantismo, dell’ignoranza, della caccia alle streghe, di gente che credeva che la terra fosse piatta, epoca di violenze impensabili, il Medioevo ha assorbito il peggio delle credenze umane. Che tutto ciò sia fantasioso, è evidente; meno evidente è il fatto che gli storici si chiedono addirittura se un Medioevo sia mai davvero esistito. Non si tratta di una provocazione, ma di una riflessione su un’espressione che usiamo spesso in modo passivo: il Medioevo è, lo dice il nome, un’età di mezzo. Fra un mondo classico perduto e un mondo rinascimentale che, anche in questo caso lo dice il nome, fa tornare alla luce ciò che si pensava scomparso. Il Medioevo sarebbe quindi una lunga parentesi della storia umana. Per un’epoca così estesa, che nella versione maggiormente divulgata copre il periodo 476-1492, non si può parlare di un unico periodo della storia. Cosa poteva avere in comune un monaco vissuto nel VII secolo con uno studente che, nel XII secolo, assisteva alle lezioni dell’Università di Bologna? Poco o nulla, se non il fatto che tutti e due, richiesti di definirsi in qualche modo, si sarebbero detti “moderni”, perché quello erano, esattamente come noi diremmo oggi, e come quelli che, fra qualche secolo, risponderanno alla stessa domanda. Moderni: al di là di questa identificazione, c’è poco altro da dire, se non che i secoli che segnano l’inizio dell’Europa moderna sono estremamente variegati, che ci sono profonde differenze fra loro, e che alcune di queste differenze sono segnate proprio dall’onomastica.
Storia di nomi
Dare un nome, infatti, è prendere posizione. Quando Haewyin Succat decide di farsi chiamare Patrizio indica da una parte un allontanamento dalle sue origini gaeliche, e dall’altra un avvicinamento alla cultura romana. Oggi viene festeggiato il 17 marzo, è san Patrizio e ci sembra normale il suo nome, ma fu una scelta notevole; così come i re barbari, ad esempio Autari e Agilulfo, che aggiungono Flavio, nome romano, al loro: era un modo per sottolineare che non erano degli ultimi arrivati, ma erano grandi personaggi come i precedenti imperatori con quel nome. Enzo Caffarelli nel suo saggio ci ricorda una cosa, che spesso, trascinati dall’ammirazione per il mondo antico, trascuriamo: il Medioevo non è fuori di noi, è accanto a noi, è dentro di noi. Le piazze in cui ci ritroviamo sono spesso medievali; gli edifici sacri, in cui molti ascoltano le funzioni, se non sono esattamente gli stessi del Medioevo, sono frequentemente di origine medievale; i modi di dire, le credenze, le feste: tanta parte della nostra quotidianità nasce in quei secoli lontani ed è ancora viva in noi. Proprio a segnalare questo legame, Caffarelli cita un testo di Antonio Gramsci, che in un articolo del 1917 lamentava la scelta compiuta dal Comune di Torino di cambiare nome alle vie. Gramsci, che non si può certo tacciare di conservatorismo, critica questa scelta, che togliendo i nomi antichi, intitola le strade a personaggi del passato: «Ogni nome era un brano di vita, era il ricordo di un monumento di vita collettiva. Lo stradario era come un patrimonio comune di ricordi, di affetti, che univa più strettamente i singoli coi vincoli della solidarietà del ricordo».
Il sommario
Il volume ha una scansione estremamente dettagliata degli argomenti: innanzi tutto, i nomi e l’urbanistica. Dare nomi alle strade è un atto pubblico, che impone a chi vivrà o passerà in quella strada, via, piazza, di ricordare qualcuno o qualcosa. Fra i vari esempi, l’autore cita il caso di Ravenna: Lido Fiumi Uniti divenne Lido di Dante, e dal 1993 ha ben 19 odonimi (nomi di strade) dedicati a personaggi della “Commedia” dantesca, e in alcuni casi si tratta di intitolazioni esclusive: Marabina, Matelda, Marco Lombardo, Guido del Duca, Mastin Vecchio, Alberigo Manfredi. Sempre Ravenna è la città, dopo Roma, col più ampio ventaglio di professioni medievali: Mosaicisti, Pinaroli, Sgobbolari, Carratori, Classiari, Salinari, Scariolanti.
Dopo le strade, ci sono i nomi di città e località. Anche in questo caso la Romagna si segnala: «Al fascismo – scrive l’autore – risalgono in Romagna due interventi che hanno a che fare con il Medioevo: nel 1938 il regime (forse il duce in persona) ravvisò l’opportunità di cambiare la denominazione del Comune di Scorticata e la scelta cadde su Torriana, toponimo medievaleggiante basato sulla presenza di alcune torri d’epoca nel territorio». Nel 1941 Mercatino Marecchia divenne Novafeltria: si tolse il riferimento al piccolo mercato, si lasciò stare il riferimento fluviale, e si pose l’accento sul territorio del Montefeltro.
Ci sono nomi medievali fra le stelle, ma sono certo meno frequenti delle rievocazioni storiche, sagre, feste di ogni tipo che, d’inverno come d’estate, attraggono turisti in tutte o quasi le località italiane. Caffarelli analizza dettagliatamente le loro origini (molto spesso sono molto più recenti di quanto si creda): senza entrare nel dettaglio, è molto interessante una riflessione dell’autore: «Il “turismo della memoria” diventa allora un fatto commerciale, parallelo alla sua gamification (giochizzazione), cioè alla sua rielaborazione in forma di gioco, da tavolo o per la Rete».
Infine, parte preponderante del volume, l’analisi dei nomi fra XX e XXI secolo: qui ci troviamo davvero di fronte a un’enciclopedia, di cui il sommario dà già l’idea della complessità: colori e simboli; zoonomia; numerali cardinali; nomi laici gratulatori e laudativi; pronomi germanici; personaggi della letteratura cavalleresca; arti e mestieri… e l’elenco potrebbe continuare. Fra nomi e cognomi c’è veramente di che perdersi: forse la scelta migliore è scorrere le pagine, alla ricerca di qualcuno che si conosce, o, forse, anche di se stessi (il cognome del vostro cronista, infatti, deriverebbe da un modello Bonaventura, mutatosi in numerosissime varianti, fra cui: Turella, Turetta, Turetti, Turiello, Turin, Turina, Turini, Turinetti, Turolla, Turolo, Turone, eccetera).
Il volume di cui parliamo è senza dubbio scientifico e tecnicamente ineccepibile; è anche di piacevolissima lettura, elemento di non secondaria importanza: chi vuole scoprire qualcosa su un aspetto importante della nostra identità non ha più scuse.