Oltre i confini

La notizia attesa da settimane alla fine è arrivata. Papa Francesco, ricoverato al policlinico “Gemelli” di Roma dal 14 febbraio, domenica scorsa è stato dimesso ( cfr pag. 10  edizione cartacea). Ha fatto ritorno a Casa Santa Marta, dove dimora. Tutti abbiamo tirato un sospiro di sollievo. Abbiamo sperato sempre, in queste lunghe settimane, che il Pontefice potesse tornare a pieno regime a guidare la Chiesa, come gli è stato chiesto dai cardinali riuniti in conclave il 13 marzo 2013.

Voci maligne lo avevano dato per morto. Sono circolate notizie di ogni genere, in particolare online. In tanti si sono sbizzarriti in allusioni e maldicenze. Molti hanno sperato che la grande riforma nella Chiesa avviata da papa Francesco potesse interrompersi. Per ora, quanti soffiano sul fuoco delle divisioni nella comunità cristiana debbono ritirarsi in buon ordine. Bergoglio è di tempra forte e ha il piglio deciso del gesuita.

Nonostante le difficoltà, anche dal letto del “Gemelli” ha governato la Chiesa con mano sicura e cuore attento. Il Papa non ha temuto di farsi vedere nella sofferenza. Come Giovanni Paolo II, non ha avuto timore di mostrarsi fragile, affaticato nel parlare, né di fare conoscere le sue reali condizioni di salute. Come hanno spiegato i medici ai giornalisti, è stato lo stesso successore di Pietro a insistere perché venissero diffusi i dettagli della sua malattia e il decorso della degenza.

Nulla deve essere tenuto nascosto, è il pensiero che lo ha guidato, possiamo intuire. E per la trasparenza con la quale ha affrontato questo passaggio e il desiderio di dialogo, anche se mediato, con il popolo dei fedeli e con il mondo, lo apprezziamo ancora di più come guida al di sopra delle parti e di ogni interesse, anche personale.

Papa Francesco ha spinto la barca di Pietro oltre i confini, anche della malattia e della privacy. L’ha portata nelle periferie, geografiche ed esistenziali, come dice fin dall’inizio del suo pontificato. Un Papa venuto dalla fine del mondo non avrebbe potuto fare altrimenti. Ci ha tolto, ammettiamolo, dalle nostre sicurezze. A volte ci ha anche spiazzato. Ma ci ha richiamato sempre all’essenzialità del Vangelo, una parola scarna senza troppe interpretazioni. Un Vangelo sine glossa, appunto, da prendere nella sua asprezza e nella sua radicalità.

Come fu per gli apostoli duemila anni fa, così è oggi anche per noi. Un incontro capace di farci sperimentare “il centuplo quaggiù”. Un tesoro ritrovato da condividere. Alla maniera di Francesco d’Assisi e del Papa che ne ha preso per primo il nome.