Quella nostalgia

Il rischio è quello di essere starati rispetto alla realtà. Di essere fuori moda, di sbandare rispetto ai binari di quel che accade attorno a noi, rispetto alla mentalità che ci circonda, ci invade, ci sovrasta, ci condiziona fino al punto di dettare l’agenda dei nostri colloqui, dei discorsi tra noi, anche tra amici e in famiglia. Invece, l’Avvento ci interroga, ogni anno che passa.

È un tempo speciale. Si accendono le prime luci. Si incomincia a percepire la festa, a comprendere che qualcosa nell’aria sta cambiando. Il mondo, quello che noi pensiamo stia là fuori, lontano, ma è dentro ogni persona, credente o no, ci vorrebbe tutti consumatori, tutti dediti agli acquisti.

Non sono bisogni veri. Sono frutto di una comunicazione martellante che indirizza i nostri pensieri, le nostre azioni, le nostre scelte. Noi ci proviamo. Vorremmo preparare la festa che sta per arrivare. Siamo distratti, a volte anche confusi. Non capiamo dove stia l’essenziale.

Qualcuno, in qualche ritiro che ancora resiste, invita alla conversione, ad avere speranza in Lui, quello con la lettera maiuscola, in modo che “la carità di Cristo diventi la nostra”. Allora cerchiamo di essere migliori, di partecipare a eventi di solidarietà, di condivisione, di caritativa. Ci proviamo, ma spesso arranchiamo, per uno sforzo che ci supera.

Ma oggi, chi è il vero povero? La risposta l’ho ascoltata da un prete che provava a indicare una traccia per questo periodo di attesa. Il povero è colui che chiede. Allora, il grido dell’Avvento può essere: «Venga il Signore», in modo che io lo possa incontrare.

La povertà per uomini e donne di oggi è questo bisogno inespresso di Dio. Una necessità che alberga nel cuore di ogni persona, spesso inascoltata. Rimane nascosta. È lì, si avverte, ma di frequente passiamo oltre, non ci facciamo caso. La si vorrebbe anche rimuovere. Ma quel desiderio ci è stato messo fin dall’inizio. È una specie di nostalgia, come un ritorno da dove tutto ha avuto inizio.

«Uno pensa di non avere più bisogno di Dio», ho ascoltato ancora nei giorni scorsi. Ci sono i soldi, la salute, il benessere, la posizione sociale. Ma la felicità dove sta di casa? Forse sta nel rispondere a una chiamata, a un invito, proprio come quello fatto ai pastori duemila anni fa e ora rivolto a me, a noi. Alla fine è una questione di amore. Di uno che dà la sua vita per i fratelli. Ieri come oggi. Sempre.