Spezzare il cerchio

Si spara sui civili. Poi si chiede scusa. È un cliché visto e rivisto, purtroppo, sulla pelle di gente che cerca il pane. Si bombardano le chiese e i luoghi sacri, tanto ormai di sacro non è rimasto più nulla.

Ci siamo imbarbariti. Ci stiamo abituando a una narrazione quotidiana stomachevole. Rischiamo di non fare caso ai continui attacchi contro donne, vecchi e bambini e alle bombe sui civili che cercano riparo, che vagano da un angolo all’altro per tentare di trovare un rifugio, se qualcosa ancora in quel fazzoletto di terra è rimasto in piedi.

La guerra a Gaza è terribile. Ogni guerra lo è. Ogni guerra è una sconfitta per l’umanità e per chi guida le Nazioni. La guerra dovrebbe essere l’ultima ratio. Invece oggi vediamo che c’è chi la persegue come qualcosa di inevitabile. Come se per affermare le proprie ragioni non occorresse più la forza della ragione, ma la ragione della forza.

Che delusione per tanti di noi cresciuti con l’idea di un’Europa come culla di civiltà, di accoglienza, di convivenza. Un’Europa e un Mediterraneo visti come casa comune, dove si condividono i valori sui cui costruire le relazioni tra le persone e gli Stati. Nulla di tutto questo oggi è più vero. Si sono abbattute le resistenze morali.

Tutto è lecito. Esistono ancora le armi convenzionali? Esistono limiti da non valicare mai? Pare conti solo sopraffare, umiliare e distruggere l’avversario. I prigionieri vengono seviziati, il diritto internazionale calpestato, le convenzioni che tutelano i diritti umani disattese e ignorate.

Viviamo una deriva tanto grave da non avere coscienza della sua pericolosità. Chi governa i Paesi ragiona solo in base al tornaconto della propria parte. Gli altri rimangono invisibili.

Domenica scorsa Leone XIV si è appellato alla pace, come ha fatto infinite volte il suo predecessore. «Si fermi subito la barbarie della guerra» e «si raggiunga una soluzione pacifica del conflitto», ha detto sulla distruzione in atto Gaza. Poi ha chiesto alla comunità internazionale di «osservare il diritto umanitario» e di «rispettare l’obbligo di tutela dei civili, nonché il divieto di punizione collettiva» e di «spostamento forzato della popolazione».

Davanti a una tale tragedia che non si può giustificare come risposta per il terribile attacco subito il 7 ottobre 2023, non possiamo che ripetere il nostro no alla guerra, a queste devastazioni, ai soprusi, alle ingiustizie. Odio chiama odio e violenza chiede altra violenza.

Occorre spezzare questo tragico cerchio.