Trump e trumpismo

Donald Trump, il giorno della rivincita. È stato quello dell’insediamento, martedì scorso, alla Casa bianca, a Washington (pag. 9 edizione cartacea). Rivincita per lui, certo. Per l’America forse. Per il resto del mondo non si sa. Suscita reazioni molto diverse il suo discorso, più un comizio che un programma di lavoro che si traduce subito in ordini.

Non ha perso tempo il tycoon. Ha preso pennarelli di dimensioni esagerate e ha firmato davanti ai suoi supporter numerosi decreti che disegnano l’America di oggi e quella dei prossimi quattro anni. Tra i più importanti va citata l’uscita dall’accordo di Parigi sul clima, con un dietrofront sui temi green che coinvolge le auto elettriche, pure quelle dell’amico Elon Musk che viene accontentato con il proclama sulla conquista di Marte.

Tra gli ordini esecutivi anche la ripresa delle trivellazioni e l’uso dei combustibili fossili, come se il cambiamento climatico fosse un’invenzione. Ma tira dritto il 47esimo presidente Usa, al suo ritorno dopo quattro anni di Joe Biden. Gli Stati uniti da lunedì sono fuori anche dall’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, colpevole, secondo le teorie di Trump, di avere gestito male l’emergenza Covid.

Nei primi suoi atti, si vede un totale rovesciamento della realtà, con la grazia concessa a oltre 1500 rivoltosi di Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Uno di essi, Enrique Tarrio, era stato condannato a 22 anni di carcere, giudicato colpevole di cospirazione sediziosa. Fa piazza pulita Trump anche dei più alti funzionari. Quattro sono stati giubilati lunedì scorso, rei di non essere in linea con la “nuova età dell’oro”. Altri mille rischiano nei prossimi giorni.

Picchia duro sull’immigrazione, con la promessa di deportare milioni di persone entrate senza rispettare la legge. Dichiara emergenza nazionale la gestione del confine sud. Riscrive le cartine geografiche ribattezzando il Golfo del Messico in Golfo d’America. Revoca lo ius soli, salva TikTok, dice stop allo smart working per i dipendenti federali.

Rispetto alla storia dell’Occidente, commenta Agostino Giovagnoli su Avvenire di martedì scorso, «è un tornare indietro», con il trumpismo che «esprime fastidio per la democrazia, procedendo – passo dopo passo – a decostruire quello che, faticosamente, l’Occidente ha costruito per secoli» e rappresenta «una visione miope: guarda agli affari di oggi, non ai problemi di domani».

Più che esultare, come fa più di uno anche in Italia, ci sono tanti motivi per essere preoccupati.