Un destino comune

«Il caos sembra appena all’inizio». Termina con questa frase un’analisi proposta da Paolo Alfieri su Avvenire di martedì scorso.

Il titolo “Sui dazi Trump tratta già” racconta molto di quello che sta accadendo in questi giorni e in queste ore: tanto il nervosismo tra gli Stati e negli operatori di tutto il mondo. Il presidente Usa ondeggia tra i roboanti proclami su ogni materia e l’immediato disinnesco come nel caso dei rapporti con Messico e Canada.

Il ciclone Trump produce i suoi effetti. I tantissimi decreti resi operativi nei primi giorni di presidenza hanno preso in contropiede economisti e commentatori. Si vive con il fiato sospeso, in attesa della prossima mossa del tycoon. «In un mondo muscolare in cui vince il più forte – ha detto l’economista della Luiss e della Cattolica Marco Magnani in un’intervista ad Avvenire del 4 febbraio – quello dei dazi è uno strumento per pressioni o obiettivi di altro tipo».

Per il momento pare di intuire che il desiderio sia quello di negoziare. Trump annuncia barriere, ma poi si siede al tavolo per strappare misure care ai suoi elettori. Il punto è sempre quello: compiacere chi ti ha votato. Agli annunci altisonanti devono seguire azioni che non possono non essere di pari livello. Almeno in avvio di mandato.

Noi che guardiamo questi eventi da oltre Atlantico e con una mentalità diversa e un po’ meno nazionalista, fatichiamo nel comprendere la ratio di certe decisioni.

Intanto Elon Musk ha smantellato Usaid, l’agenzia federale americana istituita nel 1961 da John Kennedy. Per capire l’importanza del fatto, basta ricordare che nel 2023 Usaid ha erogato 72 miliardi di dollari di aiuti, il 42 per cento di tutti i sostegni umanitari monitorati dall’Onu. Lunedì scorso i diecimila dipendenti si sono trovati i cancelli chiusi e dal muro dell’edificio che ospita gli uffici è stato rimosso il logo dell’agenzia. Un vero e proprio cataclisma passato sotto silenzio, nel mare magnum della rivoluzione avviata da Trump.

Cresce la preoccupazione, anche nel vecchio continente. Speriamo che i governi dei Paesi Ue non vadano in ordine sparso al cospetto di Trump. È su questo che l’Europa può segnare una differenza. A dispetto dei nazionalismi e dei populismi che imperversano anche da noi, la nostra storia di unità, coesione e solidarietà può costituire una pietra d’inciampo sulla quale ricostruire un comune destino. Delle persone e degli Stati, anche nell’era di Trump.