Cattolici in politica e scelta religiosa
Il richiamo della presidente del Consiglio al Meeting e il ruolo dei credenti nella società di oggi
«Non vi siete rinchiusi nelle sacrestie nelle quali volevano rinchiudervi… declinando quella ‘scelta religiosa’ alla quale mezzo secolo fa altri volevano ridurre il mondo cattolico italiano». Ha concluso così la relazione al Meeting la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, intervenendo a gamba tesa su un tema che ha caratterizzato le scelte del laicato italiano dopo il Concilio Vaticano II.
La presidente del Consiglio ha deciso di fare un salto all’indietro di 60 anni, quando l’Azione Cattolica ridefinì la propria identità e compì la “scelta religiosa”, mettendo fine a qualsiasi collateralismo con partiti politici, nel riscoprire le proprie origini con l’impegno all’annuncio del Vangelo e all’educazione alla fede. Scelta religiosa non significò, come ha detto erroneamente il presidente del Consiglio, evasione dagli impegni sociali e civili, che tutt’al più poteva essere tradotta come scelta di “cultura della mediazione” in Azione Cattolica o di “cultura della presenza” in Comunione e Liberazione.
Vittorio Bachelet, martire del bene comune, morto per servire il nostro Paese, è stato un testimone diretto di quella scelta religiosa. Sarebbe davvero riduttivo fermarsi a discutere oggi su una divisione tra movimenti e associazioni, pensando al percorso complesso che ha interessato e attraversato tutta la Chiesa italiana in questi anni.
Una disputa sui valori
Per chi ha vissuto le dinamiche politiche di una presenza organizzata di cattolici che si andava esaurendo, si cercò a un certo punto di reagire alla diaspora individuando i cosiddetti valori non negoziabili, a partire dal Convegno di Palermo del 1994 fino alla nota dottrinale della Congregazione per la dottrina della fede del 2002.
La traduzione pratica che ne è seguita ha portato in realtà a una disputa su valori spesso identificati a proprio uso e consumo, indebolendo la riflessione nelle comunità: il valore della vita espresso senza quello dell’accoglienza e della uguaglianza tra gli esseri umani, quello della solidarietà sociale dimenticando la centralità della famiglia, con l’assurda divisione tra cattolici della morale e cattolici del sociale.
Il processo di concretizzazione politica dei valori determina un pluralismo inevitabile per il modo in cui ciascun credente o ciascun gruppo di credenti media nella storia l’assolutezza dei valori, frutto del proprio modo di intendere e di esprimere la fede, di far risuonare nella propria vita il messaggio evangelico.
Da Trieste un desiderio sincero
La vera domanda da porsi sembra non essere quella di sapere quali cattolici sono stati bravi a uscire dalle sacrestie in questi anni, quanto piuttosto verificare se la Chiesa e i credenti si fanno ancora interrogare dal Vangelo quando esprimono le loro scelte.
Abbiamo comunità che vivono in termini di comunione la loro appartenenza cristiana? Esistono luoghi di elaborazione e di dialogo aperto e sincero in cui mettere a fuoco la lettura della realtà e le implicazioni della fede, senza spaventarsi del pluralismo?
Nell’ultima settimana sociale di Trieste è emerso un desiderio sincero per provare a esprimere in termini politici la fecondità della fede vissuta andando oltre i singoli schieramenti. Sarà la volta buona per superare le questioni stantie del passato e andare ai punti essenziali del nostro impegno sociale e politico?
