Questione educativa: diamo fiducia ai figli

Allora, come si fa a dire i no che aiutano a crescere? Come si fa a diventare genitori quasi perfetti?

Roma 25 aprile 2025. Adolescenti al Giubileo loro dedicato. Foto archivio Siciliani-Gennari/SIR

«Finché abbiamo avuto solo Francesco abbiamo pensato di essere dei bravi genitori. Quando è arrivata Laura abbiamo capito che era Francesco ad essere un bravo bambino». Il commento è reale, i nomi di fantasia, lo sconforto quello di molti genitori GenZ e successivi.

Circondati di storie Instagram che in cinque fotogrammi ti insegnano come avere un dialogo efficace con tuo figlio adolescente, bastonati dal Crepet di turno che ti spiega come si gestiscono i bambini al ristorante, assediati di circolari scolastiche con tre informazioni indispensabili al giorno da leggere (soprassedendo sugli assedi delle chat di classe), quei genitori sono gli stessi – presumibilmente – che chiedono ai propri figli un parere su quale sia l’orario migliore per essere ritirati dalla festa di compleanno dell’amichetto ed elargiscono parole ai mister che hanno osato lasciare in panchina il loro talento.

«Babbo smettila per favore. Non urlare contro l’arbitro». La frase è vera, sentita con le orecchie di chi scrive ma pronunciata forse molto meno di quanto in realtà non rimbombi nella mente di tanti ragazzini alle prese con le aspirazioni dei propri genitori. I nostri figli sono tutti Paolo Rossi e noi dal divano di casa siamo tutti Carlo Ancelotti.

E allora come si fa? Come si fa a dire i no che aiutano a crescere? A diventare genitori quasi perfetti, madri sufficientemente buone?

Ai tempi dei nostri nonni, le risposte venivano dallo Stato, i figli erano di tutti, erano chiamati alla leva e poi instradati al lavoro, oppure dalla Chiesa che li faceva preti o li sposava. Oggi l’interlocutore numero uno del genitore è Tik Tok che però non fuga i dubbi dell’educatore ma parla direttamente col ragazzino.

La disintermediazione è totale e immediata e vale per tutti. Nella nostra giornata globalizzata ce la prendiamo con i giovani che festeggiano Halloween anziché Carnevale mentre noi serviamo le fragole a Natale e prepariamo guacamole per l’aperitivo con gli amici.

Al netto delle scuole per educatori auspicate dall’indimenticato Andrea Canevaro, che le riteneva necessarie non solo per le famiglie ma anche per gli animatori delle parrocchie e per gli allenatori delle società sportive, davanti ai figli e alle loro domande non possiamo esibire libri e webinar o ricette di pediatri ed esperti.

Tocca fare i genitori, lì per lì, sul momento, quando serve, quando arriva la crisi, quando il bambino strilla e non sai se tenerlo in braccio o lasciarlo nel suo lettino o quando la ragazza annuncia di essersi fidanzata con l’amica del cuore. Un mondo migliore, il suo futuro migliore del nostro, sono una possibilità reale.

Possiamo dirglielo, possiamo farglielo vedere. Possiamo dare ai giovani quella grande fiducia che serve a loro per guardare il futuro, affrontare la crisi climatica e le guerre nella loro insensata permanenza. Possiamo farlo, non è una bugia.

A patto però che ce ne assumiamo la responsabilità. A patto che facciamo noi la fatica di passare dall’altra parte, diventando grandi. Se anziché disperdere una lattina di birra in un fosso per strada, io l’avrò riciclata, e non avrò scritto messaggi Whatsapp mentre ero alla guida in autostrada, se dopo aver trascorso dieci ore in ufficio tornerò a casa arricchito dalla mia giornata, io sarò stato un adulto credibile, uno che se parla puoi credergli. La risposta al bisogno del figlio sta nel modo in cui lo avrò guardato.

È durissima mettersi al bordo del grande blu e aspettare – impotenti – che Nemo faccia il salto pur sapendo che sotto c’è una voragine abitata da pesci di tutte le specie. Quello è il momento complicato. Stringiamo i denti e lasciamoli andare, pensando a quando il piccolo pesce marlin torna dal padre e gli dice «Babbo hai visto? Ce l’ho fatta».