Dal Cammino sinodale tre parole sulla comunicazione
L’ultimo sabato di ottobre ha visto riunirsi a Roma circa ottocento rappresentanti delle Diocesi italiane – laici, consacrati, presbiteri e vescovi – al fine di portare a compimento il Cammino sinodale delle Chiese locali: quattro anni di ascolto e dibattito sulle sfide rivolte oggi alla missione ecclesiale.
Visto lo specifico osservatorio della nostra rubrica, è lecito domandarsi se – fra i numerosi temi affrontati – si sia parlato anche di comunicazione e di cittadinanza digitale, già individuate da papa Leone XIV come alcune delle “cose nuove” che provocano i credenti in questo frangente.
La risposta è positiva: nel documento finale si trovano alcuni riferimenti interessanti di cui fare tesoro.
Il primo lo potremmo definire di carattere antropologico. La persona umana è in sé stessa un essere relazionale, ossia tesa al dialogo con un “tu”, minuscolo e maiuscolo. In questa prospettiva – si legge nel testo votato a grandissima maggioranza – “la comunicazione non può ridursi a strumento tecnico o strategia pastorale, ma è lo spazio sacro in cui il Vangelo prende corpo come esperienza condivisa, vissuta e testimoniata nella quotidianità”. In altre parole, la comunicazione della Chiesa non si misura in prima battuta dall’efficacia dei suoi mezzi, ma dalla capacità di “dire” il Vangelo con le parole (e i fatti) di tutti i giorni. C’è una sfera sapienziale e spirituale che va curata tanto quanto l’aggiornamento degli strumenti, compresi quelli più avanzati.
A questo proposito, meritano una sottolineatura le tre parole usate nel documento: sobrietà, competenza, formazione. Il pensiero di chi legge va alle piattaforme social e all’intelligenza artificiale, ma si citano anche i diversi tipi di arte e di linguaggio.
Coerenti con tali premesse sono le proposte concrete suggerite alle Diocesi. Al centro, infatti, c’è l’attenzione alle persone. Si chiede infatti di costituire, almeno a livello interdiocesano o di regione ecclesiastica, “équipe per la pastorale digitale, che si avvalgono di esperti e professionisti per elaborare un piano integrato di comunicazione”, avvalendosi anche di percorsi educativi nazionali “per una presenza consapevole della Chiesa nei social media, in modo da aiutare a raccontare la bellezza del Vangelo, anche contrastando fake news e post-verità”.
Da qui il rilancio di una figura già proposta in passato: l’animatore della comunicazione e della cultura, ovvero una persona (sobria, competente, formata per questo) che aiuti la comunità ad essere presente in modo originale nella “piazza” sempre più polarizzata di oggi.
