“Gli schermi sono come il vino”. Cade un altro falso mito

Sono lontani i tempi della Dad, la didattica a distanza tramite dispositivi elettronici a cui per diversi mesi il Covid costrinse gli studenti, compresi i più piccoli, ma non si placa il dibattito sul rapporto tra apprendimento e tecnologie digitali.

Merito anche di un libro molto interessante, pubblicato da Simone Lanza all’inizio di quest’anno e intitolato “L’attenzione contesa” (Armando editore). Un volume che smonta definitivamente il mito secondo cui i bambini possano apprendere efficacemente attraverso smartphone e tablet.

Perché l’apprendimento digitale non funziona?

La ricerca scientifica ha identificato il fenomeno del ‘video-deficit’: i bambini lasciati soli davanti agli schermi giocano e si intrattengono, ma non necessariamente imparano. L’apprendimento, specialmente quello linguistico tra 0 e 5 anni, richiede sempre l’interazione diretta con un adulto.

Il processo di acquisizione del linguaggio è multisensoriale ed emotivo, impossibile da replicare attraverso uno schermo. Come spiega Lanza, «i contenuti che passano sono per la maggior parte video ripetitivi, poveri e pensati con altre finalità, non certo quella di favorire l’apprendimento ».

Gli schermi hanno un potere ipnotico sui bambini, spesso utilizzato dai genitori per tranquillizzarli. Tuttavia, catturare l’attenzione non equivale a svilupparla.

Maria Montessori sosteneva che un semplice bicchiere di vetro nelle mani di un bambino di tre anni sviluppa meglio l’attenzione di qualsiasi dispositivo tecnologico, poiché lo costringe a essere consapevole dell’ambiente circostante e a prendersi cura degli oggetti.

Sempre più ricerche dimostrano chiaramente gli effetti negativi dell’uso precoce degli schermi, fra cui la compromissione dell’attenzione, ritardi nell’acquisizione del linguaggio, disturbi del sonno e problemi alla vista, tanto che si registra un aumento dei casi di miopia tra i giovani. Il tempo- schermo, inoltre, sottrae spazio ad attività essenziali come il sonno, la lettura e il gioco libero.

Lanza propone un parallelismo illuminante: «Come il vino, gli schermi hanno meccanismi che creano dipendenza e vanno introdotti con gradualità».

Lo smartphone, in particolare, dovrebbe essere l’ultimo dispositivo a insinuarsi nella vita di un bambino, data la sua particolare capacità di creare dipendenza.

Il messaggio è chiaro: gli schermi non sono indispensabili nei primi anni di vita e il loro utilizzo, per avere un valore educativo reale, richiede sempre la supervisione e la mediazione di un adulto.