La macchina per fare i compiti. Vale la pena rileggere Rodari

È iniziato l’anno scolastico “ smartphone free”, con grande soddisfazione di genitori e insegnanti e i mugugni degli alunni, che però riescono spesso ad aggirare i divieti.

Ma se a scuola si rischiano sanzioni, a casa l’accesso alla tecnologia è di fatto illimitato, con le applicazioni che sfruttano l’intelligenza artificiale (IA) sempre più utilizzate dai ragazzi per scrivere testi, risolvere esercizi, preparare interrogazioni e verifiche.

Secondo alcune ricerche, il 65 per cento degli studenti italiani si serve dell’IA per fare i compiti, con ChatGPT in testa alla classifica. Una percentuale probabilmente inferiore alla realtà.

Qualche giorno fa, il filosofo Mauro Bonazzi ricordava, in una sua rubrica, la storiella di Gianni Rodari intitolata “La macchina per fare i compiti”.

Il pedagogista piemontese non poteva certo immaginare quanto l’arrivo dell’IA avrebbe reso attuale il suo racconto, quasi cinquant’anni dopo la sua morte. Eppure è così, leggiamola insieme.

«Un giorno – scrive Rodari – bussò alla nostra porta uno strano tipo: un ometto buffo vi dico alto poco più di due fiammiferi. Aveva in spalla una borsa più grande di lui. – Ho qui delle macchine da vendere – disse. – Fate vedere – disse il babbo. – Ecco, questa è una macchina per fare i compiti. Si schiaccia il bottoncino rosso per fare i problemi, il bottoncino giallo per svolgere i temi, il bottoncino verde per imparare la geografia: la macchina fa tutto da sola in un minuto. – Compramela, babbo! – dissi io. Va bene, quanto volete? – Non voglio denari – disse l’omino – In cambio della macchina voglio il cervello del vostro bambino – Ma siete matto! – esclamò il babbo. -State a sentire, signore – disse l’omino, sorridendo. – Se i compiti glieli fa la macchina, a che cosa gli serve il cervello? – Comprami la macchina. Babbo! Implorai. Che cosa ne faccio del cervello? Il babbo mi guardò un poco e poi disse: – Va bene, prendete il suo cervello. L’omino mi prese il cervello e se lo mise in una borsetta. Com’ero leggero, senza cervello! Tanto leggero che mi misi a volare per la stanza, e se il babbo non mi avesse afferrato in tempo sarei volato giù dalla finestra. – Bisognerà tenerlo in gabbia – disse l’ometto. – Ma perché? – domandò il babbo. – Non ha più cervello, ecco perché. Se lo lasciate andare in giro, volerà nei boschi come un uccellino, e in pochi giorni morirà di fame! Il babbo mi rinchiuse in una gabbia, come un canarino. La gabbia era piccola, stretta, non mi potevo muovere. Le stecche mi stringevano tanto che… alla fine mi svegliai spaventato. Meno male che era stato solo un sogno! Vi assicuro che mi sono subito messo a fare i compiti».