Obiettivo 2026: salvare l’attenzione
Pensare ormai è un bene di lusso
Si avvicina la fine dell’anno, tempo di bilanci e previsioni. Sul fronte del continente digitale ci ha pensato già da un po’ il New York Times, con un articolo di Mary Harrington dal titolo quanto mai esplicito: “Thinking is becoming a luxury good”: Pensare diventerà un bene di lusso.
L’autrice sostiene che nella cultura contemporanea, segnata da smartphone, social media e consumo massiccio di contenuti brevi, sta emergendo una sorta di “analfabetismo cognitivo” di massa. La capacità di andare “in profondità” – leggere testi lunghi, riflettere, concentrarsi, ragionare – è sempre più rara e prerogativa di pochi.
L’articolo presenta un’esplicita analogia di tipo alimentare: proprio come il cibo spazzatura danneggia la salute fisica, i “contenuti spazzatura” digitali erodono la salute cognitiva lasciando campo libero a distrazione, difficoltà di concentrazione, superficialità di pensiero. Da qui l’amaro riconoscimento: stiamo perdendo il “pensiero lento”, quello che ha permesso il progresso scientifico, il pluralismo, le decisioni basate su ragione e argomentazione. Basti guardare al dibattito pubblico, sempre più spostato sul sensazionalismo e la polarizzazione.
La scuola è uno degli ultimi luoghi in cui si può ancora imparare a sostare dentro la complessità. Ma senza un’educazione intenzionale alla concentrazione, la partita è già persa.
Quello della Harrington è un vero allarme sociale: le disuguaglianze cognitive finiscono con il rafforzare quelle economiche e sociali. Perché non tutti sono toccati allo stesso modo: chi ha buone risorse economiche, culturali o familiari può ancora permettersi spazi, tempo e condizioni per coltivare la lettura e il pensiero critico. Chi, al contrario, cresce in ambienti più fragili rischia di restare intrappolato in un consumo superficiale e disorganizzato dell’informazione, senza la “forza mentale” per ragionare, approfondire, confrontarsi. La stessa democrazia è in pericolo, perché il dibattito pubblico si impoverisce.
“Le piattaforme – scrive l’autrice – sono progettate per catturare il massimo del tempo possibile, non per favorire il pensiero”. Ogni elemento sembra costruito per spezzare l’attenzione. In altre parole: l’obiettivo è (in)trattenere, non far riflettere. La sfida a “salvare l’attenzione” è aperta. Tanti auguri.
