Uscire da quella stanza è possibile ma nessuno può farlo da solo

Va messo subito in chiaro: l’ultimo volume di Alberto Pellai e Barbara Tamborini – “Esci da quella stanza” (ed. Mondadori) – non parla tanto dei casi gravi di ritiro sociale, conosciuti con l’etichetta giapponese di Hikikomori. Si rivolge invece a tutti, perché il fenomeno della dipendenza digitale è ormai una realtà estremamente diffusa e preoccupante. E non solo fra gli adolescenti.

Alberto Pellai è un’autorità riconosciuta in questo campo: medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva, firma il libro insieme alla moglie Barbara, psicopedagogista e autrice di libri per bambini e ragazzi. Una coppia già presente in libreria con diversi contributi, non di rado capaci di entrare nelle classifiche editoriali così come nell’esperienza quotidiana di tanti genitori ed educatori.

L’utilità delle riflessioni condotte dagli autori emerge anche solo scorrendo i titoli dei diversi capitoli, significativamente spesso in forma interrogativa. Cosa sta accadendo ai nostri figli? Genitori fragili contro mondo online: dove sta il rischio? Ma tu in che mondo vivi? La trappola dei social: desensibilizzare, normalizzare, glamourizzare. Obbligare e vietare: possono essere azioni educative oppure no?

“Esci da quella stanza” è un saggio educativo che affronta in modo diretto e concreto il tema dell’uso eccessivo di videogiochi, smartphone e social network da parte di bambini e adolescenti. La tecnologia, pur essendo uno strumento straordinario, può diventare un potente fattore di isolamento quando viene usata come rifugio emotivo. Dietro la chiusura dei ragazzi, spesso si nascondono fragilità, ansie, difficoltà scolastiche, paura di essere giudicati e un profondo senso di inadeguatezza.

Un ruolo centrale è attribuito agli adulti, che sono chiamati a uscire dalla logica della rassegnazione o del conflitto continuo, per costruire invece una presenza educativa autorevole, coerente e affettivamente significativa. Il libro insiste infatti sull’importanza delle regole chiare, del dialogo, dell’ascolto e soprattutto dell’esempio: non si può chiedere ai figli di disconnettersi se gli adulti per primi vivono costantemente connessi.

Il messaggio finale, comunque, è di fiducia: è possibile aiutare i ragazzi a “uscire da quella stanza” se la famiglia, la scuola e la comunità tornano a essere luoghi educativi forti, capaci di offrire relazioni vere, esperienze concrete, senso del limite e desiderio di futuro. Uscire da quella stanza è possibile, ma nessun ragazzo può farlo da solo. Solo così la tecnologia può tornare a essere uno strumento e non il centro della vita.