Rubicone
In memoria di Enrico Pacioni
Nel ricordo della figlia Anna. Lascia la moglie Silvana, quattro figli e la mamma Adalgisa
Gatteo in lutto per la morte dell’ex direttore di banca
Lunedì scorso, 14 aprile, è deceduto in maniera improvvisa Enrico Pacioni, una vita da bancario alla Cassa di risparmio di Cesena, anche come capofiliale. Classe 1953, abitava a Gatteo con la famiglia. La moglie, Silvana Montalti, è molto nota anche per essere l’anima della Var, l’associazione che si occupa di ragazzi in ambito educativo e sociale. Oltre la moglie Silvana, Pacioni lascia i figli Anna, Pier Paolo, Giorgio e Riccardo, le nuore, i nipoti e la mamma Adalgisa, come si legge nel manifesto funebre.
Ieri si è svolto il funerale di Pacioni. Al termine della Messa, nella chiesa parrocchiale di Gatteo stracolma di gente, la figlia Anna ha letto una testimonianza che qui sotto riportiamo. “Quando morì mia sorella – dice la figlia Anna nel ricordo del babbo – gli fu chiesto un grande sì, infinito sì, indicibile sì. Lo accettò, che lei era l’unica di noi che gli teneva testa, e io sapevo che non si poteva sostituire. Ma lui capì che era di Dio”.
Ecco il testo integrale.
Una vita vissuta come eredità di Dio
Se si prendesse un padre di famiglia e si volesse capire quanto è importante per un regno, gli si chiederebbe: quanto strettamente è conosciuto dal padrone? Quante volte è stato ricevuto a corte per un
parere? Quanto gli si è potuto affidare? Quanto è durata la sua fedeltà? Quanti sì ha risposto quando tutto gli era sgradito e gli si voleva affidare un compito? Allora si capirebbe perché il Signore del regno gli avrebbe fatto come scoppiare in mano la sua eredità. Ecco, la vita di mio babbo è stata un desiderio di conoscere l’eredità del Signore. È stato un grande babbo, che la parola babbo mi fa una gran tenerezza perché alla fine tutta piena della sua umiltà, in questo rapporto con Dio, umiltà di servo, umiltà commossa per quello che gli aveva affidato.
Sentivi nella carne il peso delle sue parole. Lo ascoltavamo, anche senza capire molto
Mio padre sapeva disegnare una macchinina vera della Formula Uno a mano libera; da molto piccole, quando tornava a casa dal lavoro, io e la Maria lo supplicavamo di farci quella magia. Lui riusciva a farla tutta a memoria. Godeva nel disegnare lento e nel vedere il nostro stupore. Mi ricordo quanti dettagli facesse e quanto fosse stanco perché aveva lavorato moltissimo in banca. Mio padre era un uomo estremamente preciso nelle cose che faceva, ci pensava silenziosamente intere giornate, poi spesso la mattina noi restavamo nei nostri letti, perché lui e la mamma non parlavano spesso di giorno, ma la mattina c’era un lungo briefing, prima dell’alzata, perché si doveva far presto, che la sveglia era presto, e allora lì lui tirava fuori tutti i giudizi, quelli grossi, e li spiegava per ore alla mamma che lo incalzava, perché lui aveva deciso di parlare. La parola e il suo peso con lui la sentivi carnalmente. Prima di chiedergliela, e lui prima di darla, occorreva pensarci. Noi lo ascoltavamo da svegli, non capivamo molto, ma che aveva ragione sì.
La mamma diceva: arriva il babbo
Il babbo ci ha insegnato che ci sono le ragioni delle cose, non i pareri, ma i giudizi veri, quelli paragonati al cuore di Dio, alla dignità della persona. La sera era sempre molto stanco: poco prima che arrivasse, la mamma diceva “arriva il babbo” e in cinque bambini si mettevano a posto tutti i giochi, perché non doveva avere noie. Sapevamo che aveva sempre già un po’ sofferto, aveva dato la vita per i clienti, lui li ascoltava per ore nel suo ufficio di capo filiale. Per lui il lavoro era santificazione della gente, che se qualcuno aveva debiti o pesi, non importava se fossero piccoli, non doveva andare via scontento, doveva averlo ascoltato. Allora la sera era pieno di quelle parole e dei loro problemi e noi lo avremmo voluto consolare, ma non ci riuscivi, lui ci pensava tanto e quando trovava una soluzione poi ci tediava per giorni su come avesse fatto.
Ha aiutato chi stava per perdere tutto
Mi ricordo quando ci fu la grossa crisi economica del 2019, quanto tornava tardi, a volte aveva gli occhi lucidi per non aver potuto di più. A volte, lo venimmo a scoprire molto dopo, aveva aiutato, anche personalmente, chi stava per perdere tutto. Arrivava sfinito, che la mamma faticava ad accudirlo. Il babbo voleva bene ai colleghi. Per lui erano un altro pezzo di parentela, spesso ci diventava amico. Dal babbo il senso del lavoro lo abbiamo imparato quando ci tirava giù dal letto alle sei, si alzava per la doccia prestissimo, correva, sempre pulito, profumato, con la camicia dritta, e noi su dritti, in ritardo. Le sue direttiva non erano facili per noi. Ci diceva “state attenti, parlate con i professori”.
Non ha mai tenuto nulla per sé che non fosse per noi
Il babbo era un uomo deciso e voleva per noi il meglio. Si fidava tanto di noi, perché quando sei piccolo lo capisci che la fiducia è anche accompagnata dalla scelta di dove mettere i soldi: ci pagò i cinque anni di scuole private, le volle per noi e si decise anche perché erano cattoliche. Ci pagò le università, i libri, le macchine, i meccanici, le assicurazioni, le visite mediche, i corsi di musica, costruì una sola prove a mio fratello, ci comprò gli strumenti per suonare, gli affitti e tutti i campi scuola, per stare con don Agostino e per andare al Clu. Non ha mai tenuto nulla per sé che non fosse per noi. Il babbo sapeva essere gratuito. Ne era soddisfatto. Anche da grandi ha sostenuto tutto, e la nascita dei nipoti, e i grandi regali e i matrimoni, alla fine sapevi sempre che se avevi un problema c’era la mamma, ma se il problema era grosso era da lui che potevi andare. Lui avrebbe parlato allora, dopo tutto il silenzio, avrebbe detto, avrebbe salvato.
Quando morì mia sorella, gli fu chiesto un grande sì
Il babbo non aveva un carattere immediato, ma era questa tenerezza di fedeltà. La fedeltà coniugale per esempio. La mamma è sempre stata per “il mondo” e lui l’ha sposata per questo, lui invece era “per lei” e lottava per questo posto. Io ho amato il babbo per la sua fedeltà alla mamma, che in ogni problema non è mai venuto meno, che le voleva bene e quello non si metteva in discussione. E che poi alla fine di lei si fidava, il suo parere non era come il nostro. Il babbo credeva molto nella famiglia, la sceglieva per sé con orgoglio. Ci ha regalato di avere i fratelli, un bene che è l’eredità nell’eredità. Quando morì mia sorella gli fu chiesto un grande sì, infinito sì, indicibile sì. Lo accettò, che lei era l’unica di noi che gli teneva testa, e io sapevo che non si poteva sostituire. Ma lui capì che era di Dio. Era la primogenita e nulla mai prese il suo posto, ma lui non sprecò la vita poi. Negli anni dopo, anche se non partecipava in prima persona ci lasciò costruire la Var: stavamo via molte ore, c’era da fare, e lui anche soffriva perché ci avrebbe voluti sempre lì. Eppure permise le opere non sue, le accolse, e
se ci sono state è stato grazie a questo suo sacrificio. Non riuscivamo a parlarne, ma lo sapevamo tutti.
Amava la campagna. L’aveva imparato dai suoi genitori
Permise che avessimo altri padri nella fede più grandi di lui, soffrendo per la nostra libertà. Lasciava che le implicazioni di fede contenute nel primo stupore dei nostri incontri potessero approfondirsi, diventare cammino o passioni. Mio padre sapeva perciò il valore della società e il valore dell’espressività culturale, del fare musica, del costruire, del servire. Andava sempre a votare. Non era un uomo anonimo. Il babbo amava anche la campagna, l’aveva imparato dai genitori che era bello coltivarla. Era la sua passione, dove hai rapporto diretto con chi fa le cose. Passava intere giornate lì nell’eredità del suo babbo, conosceva anche lui cosa vuole dire la pazienza e l’attesa dell’opera di un Altro. Si vantava di avere i fagiolini migliori, che il responsabile del mercato li nascondeva per vederli ai grandi alberghi. Recentemente, quando avrebbe potuto starsene tranquillo volle persino iniziare per noi una casa nuova.
Signore, ti affidiamo il babbo
Era molto creativo nelle idee e ne aveva di buone. Era molto simpatico quando voleva, soprattutto con i nipoti ora. La casa per noi non era certamente fisica, lo capisco adesso. Era l’ultima espressività della dimora che ha sempre sentito essere la sua vocazione, la dimora della nostra unità, dono da riconoscere e curare. Ti ringraziamo babbo di aver detto tutti i sì che servivano per essere battezzato, sposo, padre, uomo vivo. Di averci dato gli uni gli altri. Di aver amato, a tuo modo, tutto e la mamma. Di aver servito. Ti ringrazieremo di più se potrai aiutare ancora fino a che non vi rivedremo. Noi preghiamo per il tuo paradiso, in tanti. Come dice don Giussani: “per amare la morale cristiana e osservarla, bisogna essere coinvolti concretamente nel fatto di Cristo, bisogna che Cristo sia divenuto veramente il Signore di tutto e di tutti, fino ad amare obbedientemente le leggi che Lui ha messo nella sua creazione. Bisogna che in casa domini Cristo”. Te lo affidiamo Signore. Grazie babbo.